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    U di Ulvi

    Poco o nulla della propria cultura ebraica emerge nelle opere degli artisti italiani attivi dalla seconda metà dell’Ottocento; l’entusiasmo nell’emancipazione aveva orientato pittori e scultori su tecniche e soggetti diffusi nel resto della penisola. Vi è però un caso di un artista livornese che non solo rappresentò la vita ebraica cittadina, ma dimostrò una precoce sensibilità alla conservazione e alla trasmissione del patrimonio artistico e culturale ebraico. Si tratta di Luigi Moisè Levi (1858-1939) che scelse di chiamarsi Ulvi Liegi, anagramma del suo nome. La sua formazione era avvenuta a Firenze dove ben presto si era discostato dagli insegnamenti accademici per avvicinarsi alle ricerche dei Macchiaioli, in quel momento all’avanguardia delle ricerche artistiche italiane. Se all’inizio del suo percorso si era dedicato soprattutto alla rappresentazione di paesaggi realizzati all’aperto e allo studio degli effetti di luce, grazie a una serie di soggiorni fuori dall’Italia – tra cui Parigi e Londra – aveva rinnovato all’inizio del Novecento il suo uso del colore fino a sperimentare contrapposizioni cromatiche più vicine alle ricerche d’oltralpe.

     

    Con questa sperimentazione tecnica rappresento negli anni Trenta almeno due vedute della vecchia Sinagoga di Livorno – costruita all’inizio del Seicento e distrutta nei bombardamenti del 1944 – restituendo una testimonianza visiva del luogo durante una preghiera mattutina: l’iscrizione sul retro della tela ricorda che fu dipinta “… ore 10 – mattino”. Il pittore va però ricordato per essere all’inizio di quel decennio tra i fondatori a Livorno del primo museo ebraico italiano luogo di esposizione “dei cimelii ebraici”. Voluto dal Rabbino Alfredo Sabato Toaff e ordinato da Ulvi Liegi si articolava intorno alla citata sinagoga, secondo un modello che si ritrova in molti dei musei ebraici italiani e stranieri. 

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