“Per ricordare giorni felici, che poi sono stati più felici”, si legge sul retro di una fotografia che raffigura una squadra di nuoto ebraica, scattata pochi istanti dopo la sua vittoria in un campionato. L’immagine, databile fine anni ’20, appartiene a Hubert Nassau e ritrae il team viennese di Hakoah. Il messaggio scritto dietro la foto venne inviato originariamente a Fritz Lichtenstein sette anni dopo la sconfitta del Terzo Reich. Come Lichtenstein, Nassau riuscì a sfuggire al progetto nazista di annientare gli ebrei europei, emigrando in Gran Bretagna alcuni mesi dopo l’Anschluss. La foto di Nassau – e una altrettanto sorprendente della sua futura moglie, la collega ebrea rifugiata Lisette Pollak, che dimostra la sua abilità ginnica negli anni ’30 – sono alcuni dei pezzi pregiati della nuova suggestiva mostra “There was a time…’: Jewish Family Photographs Before 1939”, in esposizione alla Wiener Holocaust Library di Londra.
La mostra attinge dall’archivio di Wiener che raccoglie oltre 700 faldoni di documenti di famiglia, la più grande collezione relativa ai rifugiati ebrei dall’Europa nazista nel Regno Unito. Donato negli anni dai profughi ebrei e dalle loro famiglie, il tesoro comprende vaste raccolte di fotografie: ritratti, istantanee e album. “Fotografie come queste sono troppo spesso trascurate o utilizzate come illustrazioni per altri materiali piuttosto che considerate seriamente come documenti e opere artistiche importanti. Questa mostra mira a cambiare questo modo di pensare” ha spiegato Helen Lewandowski, assistente curatrice della biblioteca. “Sono rimasta affascinata dai diversi modi in cui gli scatti quotidiani siano stati utilizzati per modellare l’identità, affermare il libero arbitrio e l’appartenenza ma soprattutto facilitare la memoria per le famiglie ebraiche”.
Naturalmente, non mancano immagini estremamente commoventi, specialmente per le storie che celano al loro interno. Un elegante ritratto mostra Dorothea Jacoby in una foto scattata probabilmente nel 1911 da suo marito, Ludwig poco dopo il loro matrimonio. La coppia ebbe due figli: Henny e Hans-Bernd. Mentre Henny riuscì a fuggire in Gran Bretagna nel 1938, Dorothea, suo marito e suo figlio furono deportati ad Auschwitz nel 1943 e successivamente assassinati. Una didascalia non datata sul retro della fotografia, che potrebbe essere stata scritta da Henny, dice semplicemente “Es war einmal”, traducibile come “C’era una volta” e usato prevalentemente per narrare l’inizio di una fiaba. Il titolo della mostra adotta una traduzione più letterale e ambivalente traducibile come “C’era un tempo”.
C’è poi la storia della famiglia di Ludwig Liebermann che fu più fortunata di quella di Jacoby. Dopo aver prestato servizio nella Prima guerra mondiale, Liebermann ottenne un dottorato in chimica e lavorò in varie aziende industriali in Germania e all’estero. Ma nel 1936, sei anni dopo il suo matrimonio con Susan Friedmann, Liebermann fu avvertito dal suo manager che, poiché l’azienda non sarebbe più stata in grado di proteggere un dipendente ebreo, non sarebbe dovuto tornare dal suo prossimo viaggio di lavoro all’estero. L’anno successivo, Susan e i suoi figli lo raggiunsero in Gran Bretagna. Dopo la loro naturalizzazione nel 1947, Susanne e Ludwig Liebermann decisero di anglicizzare i loro nomi in Susan e Louis Linton. Le immagini raccolte da Liebermann per i suoi due figli, Eva e Albert, coprono il periodo dal 1890 al 1970, anche se molte sono dal 1905 al 1906 e catturano l’infanzia di Ludwig a Berlino. Altri lo mostrano giovane fuori dall’esercito ma ancora in divisa, con la madre sulla loro barca nel 1919, studente all’Università di Berlino, e nel suo primo impiego come ricercatore chimico. Altri ancora, presi nel decennio precedente al 1937, mostrano Liebermann come un orgoglioso giovane padre. Ma c’è anche un agghiacciante assaggio di ciò che accadrà: una foto lo cattura in piedi accanto a un poster elettorale nazista da cui il volto di Hitler osserva la scena con sguardo minaccioso. Prima della sua morte nel 1980, Liebermann aveva scritto minuziosamente le didascalie su tutti i suoi scatti.
Sebbene non sia stato semplice ricostruire le storie specialmente di coloro le cui informazioni si sono perse nel tempo, i curatori della mostra non si sono arresi riuscendo a ricostruire le storie dei personaggi nelle fotografie.
Sono moltissimi volti e le storie che si celano dietro l’esposizione, ma anche la triste consapevolezza che molte delle persone ritratte nella mostra non sono riuscite ad uscire indenni dall’enorme tragedia che colpì gli ebrei europei durante la Shoah. Tuttavia, quegli scatti rubati durante i momenti felici che precedettero gli eventi sconvolgenti del nazismo fermano il tempo e catturano i ricordi felici in un fermo immagine, almeno per l’illusione di un momento in cui tutto sembra eterno.
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