Simcha Rotem è stato tra i protagonisti della rivolta del ghetto di Varsavia. È mancato nel 2018, ma il 5 novembre 2015 Maurizio Rasio lo ha intervistato a casa sua, a Gerusalemme.
All’arrivo dei nazisti nel 1939, Rotem aveva solo 15 anni. «I problemi iniziarono subito con gli ebrei più osservanti, presi di mira nell’indifferenza dei polacchi. Dopo sei mesi dall’inizio dell’invasione ci ritrovammo nel ghetto. Il nostro morale era a terra, noi bambini sostituimmo i nostri genitori nelle attività loro vietate: potevamo nasconderci, uscire e vendere oggetti per scambiarli con pane o poco altro» raccontava il sopravvissuto.
All’inizio non si capiva il progetto di sterminio, che emerse dopo il mancato ritorno dei primi deportati e a fronte dei primi frammentati resoconti. Rotem inizia a far parte della resistenza e durante una delle operazioni con l’Organizzazione combattente ebraica (ŻOB) venne mandato di notte a vedere cosa stesse succedendo per le strade del ghetto. «A un certo punto sentii il pianto di un neonato. Mi avvicinai e vidi una donna con il suo bebè che piangeva, ma lei era morta. Li ho lasciati lì, non potevo fare nulla – ricordava, cercando di frenare le emozioni – In una situazione del genere non sei in grado di aiutare nessuno, nemmeno te stesso».
Nel 1943 Rotem divenne Kazik, suo nome di battaglia, e partecipò alla rivolta. Era capo corriere e riportava al comandante Yitzhak Zuckerman quanto stesse accadendo nel ghetto.
«Eravamo consapevoli del rischio di morte, ma i nostri comandanti pensavano ci fosse una possibilità che potessimo sopravvivere, e l’unico modo per farlo era uscire dal ghetto». Proprio quando divenne evidente che i tedeschi avrebbero prevalso, fu inviato attraverso un passaggio segreto fuori dal ghetto per organizzare una fuga, ma il passaggio fu scoperto. Nel disperato tentativo di raggiungere i suoi compagni, Rotem provò a entrare nel ghetto attraverso le fogne. Alla fine ci riuscì, salvando oltre 80 persone.