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    Perché è importante il nuovo libro di David Kertzer ‘’Un Papa in guerra”

    L’enigma di Pio XII sembra essere ora un po’ meno oscuro di quanto sia stato fino a quella mattina del 2 marzo 2020, quando frotte di studiosi, David Kertzer in testa, si sono seduti nella sala studio dell’Archivio Apostolico Vaticano e hanno iniziato a leggere le carte del suo pontificato. Si pensava, in quel momento, di avere davanti mesi ininterrotti di indagine e tutto il tempo necessario a scavare a ragionare in mezzo a carte inesplorate (ma da cui tutti gli addetti ai lavori si aspettavano qualcosa). Come sappiamo, non è andata così e in meno di una settimana il Covid ha serrato  le porte di quell’archivio (come di ogni altro archivio nel mondo) e ha imposto una pausa forzata alle ricerche. Alla fine, comunque, i risultati arrivano e il lavoro di Kertzer – così come è stato anticipato ieri all’American Academy di Roma da alcuni degli studiosi più autorevoli sulla storia del Ventennio e mentre si aspetta di tuffarsi nel libro e nelle sue note – mette in chiaro aspetti fondamentali di quel periodo. L’immobilismo del pontefice di fronte ai fatti e le mancate scelte emergono con forza e si rivelano il risultato di una strategia politica precisa e di una lettura degli eventi in corso ancorata a schemi superati e, per questo, incapace di agire quando sarebbe stato essenziale farlo.

     

    Il silenzio consapevole sulla Shoah rientra, a quanto pare, in questo approccio. Da una parte, la nuova generazione di prelati che inoltra un flusso costante di notizie sui massacri, aggiorna Roma e il papa sulle cose mai viste che stanno avvenendo e si interroga sull’opportunità di dire qualcosa e di provare a intervenire. Dall’altra, Pacelli, che sa (e questo Kertzer lo prova definitivamente) ma che percorre la via del silenzio perché, alla fine, ha comunque più paura del comunismo anticristiano. Vale per la Polonia e la Turchia da cui scrivono preoccupatissimi personaggi del calibro di Montini e Roncalli; e vale, ancora di più, per Roma e per i suoi ebrei nelle ore immediatamente successive al 16 ottobre, quando, di nuovo, Pio XII tace, nonostante, a quanto pare, in Curia si discutesse seriamente sull’altra opzione, quella che avrebbe potuto offrire qualche tutela agli ebrei chiusi al Collegio Militare, e di cui esisterebbero tracce scritte. In quegli stessi mesi – ed è questo un punto essenziale – la Chiesa di Pacelli tenta, però, ogni carta per salvare gli ebrei battezzati, cristiani a norma di diritto canonico ma ancora ebrei da cancellare per i nazisti.

     

    I nazisti, a loro volta, conoscono le regole del gioco, sanno bene cosa potrebbe smuovere le proteste della Curia, vogliono evitare incidenti diplomatici e per questo a Roma farebbero distinzione tra ebrei e ebrei battezzati. Per il papa, i nazisti e la Shoah sembrano quasi un altro capitolo dell’infinita disquisizione sui battesimi forzati e come tali vengono trattati, così come si era sempre fatto, quasi si stesse ancora disquisendo su qualche anima da salvare e non fosse in gioco la vita di milioni di persone. E Kertzer, che ha studiato a fondo le vicende di Edgardo Mortara, lo sa bene e per questo ragiona a tutto campo sullo spartiacque delle politiche razziali e delle risposte della Chiesa a queste proprio intorno alle conversioni sia durante la guerra sia – ma di questo ieri non si è parlato – nel periodo immediatamente successivo (con i bambini battezzati salvati nei conventi che le associazioni ebraiche si battono per far tornare all’ebraismo, per intendersi). L’ansia da comunismo guida le decisioni di Pacelli, che continua a vedere il mondo moderno come il frutto avvelenato della concatenazione diabolica partita con Lutero, passata per la Rivoluzione francese, la modernità, il Risorgimento e la fine dello Stato della Chiesa e che si incarna, ora, nell’Unione Sovietica e nei suoi sostenitori, tutti anticristiani da sconfiggere ad ogni costo. Il fascismo, alla fine, ha riportato la Chiesa in Italia, restituendole un ruolo, aprendole le porte delle scuole e negoziando spazi cattolici che il regno liberale aveva rifiutato con tutte le sue forze. Ed è questo posizionamento tutto interno alla storia italiana, e anche allo specifico della storia di Roma, a segnare il regno di Pio XII, finora l’ultimo papa con quel nome in una catena che richiamava (e certo non a caso) la schiera illustre dei predecessori che avevano serrato le fila della Chiesa in tempi difficili e nei quali Pacelli cercava ispirazione. Ma i tempi, appunto, era definitivamente nuovi.

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