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    Cultura

    Parole in un conflitto: “7 ottobre. Israele brucia”

    “(…) Ama te stesso e il mondo intero. Quando irradi felicità, il circolo di gioia che si formerà intorno creerà un mondo migliore”. È con questa poesia del paracadutista israeliano Shachar Fridman che si apre il nuovo libro di Fiamma Nirenstein, “7 ottobre 2023. Israele brucia”, la cui presentazione si è svolta al museo MAXXI di Roma, con ospiti di primo piano moderati dall’editore Francesco Giubilei.
    “Niente sarà più come prima del sabato nero”, di quel 7 ottobre che ha segnato uno spartiacque nella storia di Israele. Questa data non ha colpito solamente il cuore del popolo ebraico, ma anche la popolazione mondiale.
    Tuttavia, Giuliano Ferrara, giornalista che ha preso parte alla presentazione del libro, ha affermato che tale comprensione è durata meno di un giorno. “Se l’ebreo è morto, viva l’ebreo”. Il problema sorge quando l’ebreo inizia a difendersi, diritto che l’opinione pubblica sembra negare allo Stato di Israele. Per quell’antisemitismo travestito da difensore dei diritti umani, dunque, gli ebrei non sembrerebbero andare bene né vivi né morti. Tale antisemitismo è nato o, meglio, si è palesato, a seguito della reazione di Israele e condanna un unico uomo, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ironicamente definito da Ferrara “l’uomo nero” poiché spesso considerato dall’opinione pubblica come responsabile della situazione. La reazione è stata, dunque, ampiamente criticata, ma è da considerarsi come unica e necessaria risposta all’attacco subito il 7 ottobre.
    Israele non combatte solamente su sette fronti, “sopra e sotto la terra”, ma deve anche rendere conto all’opinione pubblica, la quale ormai sembra averlo definitivamente condannato.
    Logicamente, la guerra è combattuta anche tramite meccanismi di disinformazione, i quali, attraverso immagini con forte impatto emotivo, riescono a far scattare i meccanismi mentali che regolano la rabbia e l’aggressività in maniera tale da rendere cieca l’opinione pubblica ad ogni discorso razionale. Moralismi e disinformazioni di questo tipo sono entrati anche nel Parlamento italiano, il quale chiede un “cessate il fuoco” a Israele, ma non ad Hamas che, giorno dopo giorno, continua a usare il suo popolo come scudo. D’altronde, non c’è da stupirsi: “ogni soldo dato a Gaza dal 2005 ad oggi è stato usato per costruire gallerie e tunnel” – afferma Paolo Mieli. Il giornalista ricorda questa complicità internazionale, di cui nessuno ha visto nulla per diciotto anni. Viene fatto un parallelismo tra il 7 ottobre e l’11 settembre, con la sola differenza che le proporzioni sono sbagliate e che il “sabato nero” non è mai finito e non finirà finché tutti gli ostaggi non verranno restituiti. Sempre Mieli ha ricordato che Israele è circondato da 22 paesi arabi, di cui 6 neanche lo riconoscono e hanno nella loro carta costituzionale di uccidere tutti gli ebrei. Israele potrebbe, dunque, essere considerata la sola prigione a cielo aperto, la quale non può piangere i morti, le “pecore da macello” della Shoah, se non si difende ora.
    “Israele non sta lì per una qualche forma di perversione, ma per affermare il suo diritto ad esistere”. Riprendendo il discorso del collega, Mieli ha affermato che l’unica colpa di Netanyahu è stata quella di non capire la gravità della guerra russo-ucraina, di aver trattato con disprezzo l’unico capo di governo ebreo oltre a lui e di essere stato tradito dai russi. La sua responsabilità deve essere considerata antecedente alla guerra e, quando sarà il momento, i cittadini israeliani potranno decidere democraticamente riguardo a tali responsabilità.
    Durante l’incontro è intervenuta anche Noemi Di Segni, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, la quale ha evidenziato come ad Israele si rivolga la pretesa di un cessate il fuoco costante, senza considerare però la riduttività e la pericolosità di tale affermazione. Israele è continuamente pressata dal dilemma morale, ma deve anche confrontarsi con l’immoralità della controparte. Per l’opinione pubblica e la comunità internazionale il sionismo è diventato il nuovo nazismo e i religiosi i nuovi estremisti. Tuttavia, l’utilizzo di determinate parole non può essere usato a sproposito in quanto, altrimenti, ci troveremmo davanti a una narrazione del tutto distorta della realtà. Il vero genocidio non è quello che sta subendo il popolo palestinese, ma quello che Israele immagina possa accadere di nuovo, giorno dopo giorno, dal 7 ottobre: il ripresentarsi della Shoah e di un nuovo tipo di antisemitismo mascherato da antisionismo.
    A tirare le somme di questi ragionamenti è stata proprio l’autrice del libro, Fiamma Nirenstein, che alla luce anche della sua analisi ha presentato la tragica realtà dei fatti. “Abbiamo assistito ad un’esibizione di carattere internazionale di quella che è stata, ancora una volta, la crudeltà umana”. “È stata una rappresentazione organizzata, filmata e presentata su un palcoscenico per farci vedere che distruggeranno prima Israele e poi l’ebreo”. Abbiamo sempre vissuto in una specie di favola, nella quale quella promessa di “Never Again” che i nostri genitori o nonni avevano fatto a loro stessi e al popolo ebraico è scomparsa nel vuoto.
    Il mondo migliore, auspicato da Shachar Fridman, paracadutista israeliano ormai morto a causa della guerra, può esistere solo se si afferma il diritto di Israele a difendersi – conclude così la scrittrice.

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