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    Menashe Kadishman in mostra a Casale per i 75 anni di Israele

    Menashe Kadishman, con la sua opera Sheep Portrait 6, è l’artista che la Comunità ebraica di Casale Monferrato ha scelto per celebrare i 75 anni dell’Indipendenza dello Stato d’Israele. Questa mattina nella Sala Carmi il curatore Ermanno Tedeschi inaugura la mostra: “Buon compleanno Israele” anteprima della grande esposizione “Israele arte e vita – omaggio a Menashe Kadishman “che aprirà il 10 settembre in occasione della XXIV Giornata Europea della Cultura Ebraica. 

    Pittore e scultore di fama internazionale, Kadishman, nato a Tel Aviv nel 1932 e scomparso nel 2015, è tra i più importanti artisti israeliani, rappresentando l’anello di congiunzione tra i maestri del Novecento e gli esponenti della nuova generazione. 

    Da giovane, tra il 1950 e il 1953, aveva lavorato come pastore sulla Kibbutz Ma’ayan Baruch: un’esperienza con la natura e le pecore che ha poi avuto un impatto significativo sulla sua successiva produzione artistica e su tutta la sua carriera. L’animale appare in molte forme, a rappresentare la pecora sacrificata da Abramo al posto di suo figlio Isacco, o anche gli ebrei morti come pecore al macello nella Shoah. Dal 1947 al 1950 ha studiato con lo scultore israeliano Moshe Sternschuss all’Avni Institute of Art and Design di Tel Aviv, per proseguire nel 1954 con lo Rudi Lehmann, a Gerusalemme. Nel 1959, trasferitosi a Londra, ha frequentato la Saint Martin’s School of Art e la Slade School of Art per perfezionarsi con Anthony Caro e Reg Butler. Proprio a Londra, pochi anni dopo, la Grosvenor Gallery ha organizzato e ospitato la sua prima personale. Le sculture degli anni Sessanta erano in stile minimalista, progettate in modo da sfidare la gravità tramite equilibrio e costruzione attente, come in “Suspense”, o utilizzando vetro e metallo in modo che il metallo sembrasse sospeso. Includendo il vetro nelle sue opere, ha spiegato, ha voluto dare spazio all’ambiente.  Kadishman era legato all’Italia anche da una vicenda familiare: negli anni ’50 la sorella ha vissuto a Bologna dove lavorava come maestra nella scuola della Comunità ebraica. 

    Noto come “il pastore delle Biennale” perché nel 1978 ha rappresentato Israele alla Biennale di Venezia con un’opera performativa che ha suscitato grande scalpore: aveva portato nel padiglione espositivo diciotto pecore vive che macchiò di blu suscitando un grande clamore.

    Vincitore di premi prestigiosi in tutto il mondo, nel 1995 ha ricevuto l’Israel Prize per la scultura. “Non era soltanto un grande artista ma anche un grande uomo. Aveva un grande cuore, era buono, generoso e per lui erano importanti i valori sociali”. Così lo ha ricordato Micha Ullman, a sua volta vincitore dell’Israel Prize per la scultura, mentre Dani Karavan, altro noto artista israeliano, ha dichiarato: “Era un grande uomo, proprio un ‘mensch’ come si dice in yiddish. Aveva un grande cuore ed era sempre attivo”. Benner Katz, pittore, illustratore e scrittore israeliano, che di Kadishman era amico sin dall’adolescenza, sottolineava come non si fermasse mai: “Anche quando era malato, dipingeva. Nella sua vita ha sempre lavorato, le sue mani non erano mai ferme”. 

    Significativa è anche l’installazione, permanente dal 2001, intitolata Shalechet (Fallen Leaves) dove l’artista ha sistemato sul pavimento del Jüdisches Museum di Berlino decine di migliaia di dischi in ferro che riproducono forme volutamente sommarie di teste urlanti che il visitatore calpesta producendo un rumore che è un lamento viscreale. “Un approccio ‘esperienziale – dice Ermanno Tedeschi – che turba profondamente il visitatore.

    In un’intervista aveva dischiarato: “Sono stato associato a vari movimenti artistici, ma sono sempre rimasto autonomo e indipendente. Sono stato influenzato da mille cose diverse, dalla terra degli indiani come da un bucato steso a Mea Shearim. Ma alla fine io sono la stessa persona, ogni giorno, quando mi alzo la mattina. L’arte non deve inventare qualcosa di nuovo ogni giorno”.

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