9 ottobre 1982, le 11:55 del mattino: un orario che prende quasi forma e segna il momento dell’attentato alla sinagoga di Roma. Il piccolo Stefano Gaj Taché, di soli due anni, perse la vita, mentre altre 40 persone rimasero gravemente ferite. Quella ferita che ancora fa male all’intera Comunità Ebraica di Roma si fa sempre più dolorosa, in cerca di risposte a domande che vorticano da più di quarant’anni.
È attraverso la materia che Anna Russo ha tentato di raccontare quella storia che ha segnato indelebilmente la storia della Comunità romana, quella metamorfosi collettiva che subirono gli ebrei della Capitale all’indomani dell’attacco. Anna Russo comincia la sua carriera come scrittrice pubblicando le sue opere con le grandi case editrici italiane (Einaudi, Salani, Mursia, ecc). È proprio in seguito all’esperienza letteraria che nasce la voglia di coniugare assieme tutte le sue arti. Le opere della collezione “Parole di materia” sono opere materiche ibride che mixano, in una forma unica, la pittura con la scrittura, trasformando i testi letterari in opere pittoriche.
“Queste opere sono bassorilievi a graffio cemento su tela inciso con i coltelli e nascono da un grande amore per la letteratura ed in particolare le parole scritte – ha spiegato Anna Russo a Shalom – Ho pensato che fosse ingiusto lasciare che parole meravigliose come quelle che raccontano Il piccolo Principe o L’insostenibile leggerezza dell’essere o una moltitudine di altri testi fossero confinate all’interno del buio di un libro, affidate alla semplice volontà di chi quel testo decideva di aprirlo. Così ho deciso che quelle parole avrebbero dovuto brillare di vita propria. Ho iniziato ad inciderle nel cemento e a renderle lapidarie. Erano e sono parole intramontabili e adesso possono brillare illuminando il mondo con il loro splendido contenuto”.
Le parole prendono forma grazie all’arte, così come la rabbia e la tristezza che si fondono assieme, tentando di dare un volto a quell’immenso vuoto che l’attacco ha lasciato. “Cementare queste parole è per me un atto naturale e fondamentale, per questo è stato un onore ed un atto dovuto dare altra vita alle fortissime parole riportate da Gadiel Gaj Taché, fratello di Stefano, nel suo libro – ha spiegato Russo – Le parole di Gadiel raccontano e raccolgono diventano testimoni di momenti irripetibili. Gadiel ci spiega come l’orrore sia diventato reale. Le sue parole così preziose, terribili devono essere monito per i posteri. Lui ha vissuto l’orrore sulla sua pelle e adesso ce ne rende dono. Le sue parole andavano cementate, rese lapidarie e pubbliche perché non si dimentichi mai” ha concluso Anna Russo.