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    Cultura

    La fragile terra di Dafna Kaffeman in mostra all’Israel Museum

    L’Israel Museum di Gerusalemme ha inaugurato la mostra personale ‘Fragile Land’, fragile terra, dell’artista Dafna Kaffeman, integrandola nel Glass Pavilion della Bronfman Archeology Wing, l’ala del Museo interamente dedicata all’industria vetraria della Terra d’Israele che, fino all’inizio del XX secolo, è stato uno dei più importanti mestieri tradizionali del paese.

    Dafna Kaffeman è nata nel 1972 a Gerusalemme, ha studiato vetro e ceramica alla Bezalel Academy of Arts and Design di Gerusalemme per poi laurearsi nel 1999 alle Gerrit Rietveld Academy di Amsterdam e ottenere il Bachelor of Fine Arts al Sandberg Instituut ad Amsterdam. Descritta come ‘una poetessa in vetro’, ogni opera di Dafna Kaffeman, sia che utilizzi le piante o gli insetti, nasce dalla sua osservazione personale e diretta dell’ambiente naturale che la circonda, proponendo un’interpretazione culturale e iconografica. Negli ultimi anni la sua ricerca si è anche orientata sul disegno su carta che è diventato parte integrante delle sue produzioni. Anche il ricamo svolge un ruolo significativo nell’opera dell’artista, fungendo da piattaforma per il testo su cui si basa il lavoro. Le forme vegetali e animali che compongono le serie “Tactual Stimulation” e “Wolves” sono fabbricate principalmente in vetro lavorato a fiamma, i soggetti forniscono un mezzo per esplorare il comportamento umano, dimostrano profonda affinità con la terra d’origine. Dal 2006, Dafne Kaffeman ha intrapreso la realizzazione di mini-ambienti costituiti da fazzoletti ricamati o feltro a cui appunta piante di vetro lavorate a fiamma e a volte insetti. Nel riconoscere la particolare creatività e l’impatto di queste realizzazioni, il Ministro per la cultura e delle scienze d’Israele nel 2011 l’ha proclama vincitrice del Premio per la creatività e l’impegno e nel 2016 le ha attribuito il Premio per il Design.

    Nelle opere esposte all’Israel Museum Dafna Kaffeman utilizza bacchette di vetro contemporanee e antichi pezzi di vetro grezzo trovati negli scavi archeologici per ricreare il grano, le spine, il fiore rosso eterno che prende il nome di ‘sangue dei Maccabei’, l’acacia e i pini locali e persino il calabrone orientale, una specie che abita la regione fin dall’antichità. Dal germogliamento e dalla fioritura all’appassimento, queste delicate creazioni sono momenti congelati nel tempo, ritratti realizzati con estremo realismo, destinati a non crescere mai più. L’esposizione tocca il contrasto tra scomparsa e continuità, fragilità e resilienza, trasparenza e opacità, memoria del passato e fragile realtà della nostra vita presente.

    Foto: Doron Letzter

     

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