Quest’anno il tema che verrà trattato per la Giornata Europea della Cultura Ebraica sarà la bellezza.
Nell’ebraismo sono molteplici gli aspetti che si possono trattare su questo argomento, sia dal punto di vista materiale che dal punto di vista spirituale.
Nei testi sacri, Tanach, Mishnà, Talmud e molti altri, si parla molto della bellezza del Beth Hamiqdash, il Santuario di Gerusalemme, nella sua architettura, ma anche di tutti gli utensili sacri, dei paramenti, degli abiti dei sacerdoti. La bellezza di alcuni personaggi, la bellezza e la perfezione degli animali o dei frutti che andavano offerti in sacrificio.
Oggi che il Tempio di Gerusalemme non esiste più, si è trasferito questo concetto di bellezza nelle sinagoghe, alcune splendide nella loro architettura e negli oggetti di culto, come il sefer Torà, il rotolo manoscritto con i propri paramenti in tessuti pregiatamente ricamati e gli ori e argenti nella parte superiore. I musei ebraici di tutto il mondo fanno a gara per esporre quelli più ricchi e preziosi!
Esiste poi una bellezza spirituale, quasi intangibile che può essere identificata nell’interpretazione dei testi, dell’intensità di chi prega e una bellezza dell’anima che è dentro ognuno di noi.
Il talk “Abito come abitazione. Moda e Torà”, che si tiene domenica pomeriggio, nasce da uno scambio di idee tra me e la Direttrice del Centro di Cultura Giorgia Calò; il panel sarà composto dal Rabbino Capo Riccardo Di Segni, dalla Professoressa Fiorella Bassan, dal sottoscritto e moderato dalla Professoressa Clara Tosi Pamphili; il tema affrontato sarà quello dell’abito e della moda. L’argomento sarà trattato quindi sotto molteplici aspetti: da quello religioso a quello filosofico, da quello storico a quello mistico con dei risvolti anche nell’attualità.
Nel testo biblico la prima volta che si parla di vestiti è in riferimento a Adamo ed Eva. In Genesi 3,21 è scritto che il Signore fece per loro delle tuniche di pelle. Apprendiamo così che il Primo Sarto è ineguagliabile…!
La parola ebraica per indicare “pelle” è “or”. Se si sostituisce la prima lettera, ain con la lettera aleph, si legge sempre “or”, ma con il significato di luce. Su questo gioco di parole i commentatori delle varie epoche ci hanno molto speculato, fornendo commenti meravigliosi.
Adamo è considerato il Bechor, il primogenito dell’umanità. Fino a Moshè e Aron i sacerdoti erano considerati i primogeniti. Adamo, quindi, fu il primo ad offrire un sacrificio.
Secondo il midrash quella tunica speciale passò di mano in mano per vari primogeniti, tra cui Abramo, Isacco, in maniera poco “limpida” anche a Giacobbe, fino a Giuseppe. La famosa tunica a strisce variopinte che Giacobbe regalò al figlio prediletto, era la stessa di Adamo.
Successivamente, nel libro dell’Esodo, quando il Signore dà i particolari per gli abiti di Aron e quindi dei successivi sommi sacerdoti, la realizzazione viene affidata a un “archistar” diremo oggi, Betzalel ben Urì che realizzerà anche tutte le opere per il Tabernacolo, con l’aiuto di Aholiav ben Achissamach.
La Mishnà invece, nel trattato di Shekalim, ci racconta di un personaggio vissuto all’epoca del secondo Tempio, tale Pinchas Hamalbish, il vestitore.
Dalle fonti rabbiniche lo potremmo definire “l’Armani” dell’epoca!
Nel tempio c’era addirittura una sala a suo nome, la lishkath Pinchas Hamalbish, che fungeva da guardaroba degli abiti dei Coanim, ma anche da vera e propria sartoria dove si confezionavano gli abiti a misura giusta per i vari sacerdoti e aveva un gran numero di collaboratori. Sempre le stesse fonti ci dicono che era un esperto di tessuti e molto abile nel trattarli, tanto che si rivolgevano a lui non solo i Coanim.
I capi per il Coen Gadol, il Sommo Sacerdote erano 8: 1) choshen (pettorale), 2) efod (dorsale), 3) meil (tunica), 4) chetoneth (un lungo camice), 5) mitznefet (turbante), 6) avnet (cintura), 7) michnasaim (pantaloni), 8) ziz (diadema).
Ognuno di questi elementi aveva una funzione di espiazione di varie trasgressioni che traevano origine dalla prima trasgressione commessa da Adamo ed Eva. Sarebbe troppo lungo spiegarne i singoli significati.
Per far comprendere meglio, questa prima trasgressione fu dovuta dal desiderio di mangiare il frutto della conoscenza del bene e del male. Un commento sui 10 Comandamenti afferma che l’ultimo, il non desiderare le cose altrui, racchiude tutti i nove precedenti. Il desiderio è quello che porta a compiere le peggiori trasgressioni.
Vorrei concludere con il significato mistico dell’abito.
Nello Zohar è scritto che i bei racconti che troviamo nella Torà, sono l’abito che copre il vero significato e che solo attraverso uno studio profondo si riesce (non tutti) a comprenderne il reale senso.
E anche nell’uomo può essere applicato questo criterio: il corpo, secondo la cabbalà, sarebbe solo il vestito dell’anima.
Per concludere, la risposta alla domanda se nell’ebraismo l’abito fa il monaco non può essere assoluta. È affermativa nel caso dei Coanim, ma per esempio per quanto riguarda il Mashiach il talmud ci dice che vive alle porte di Roma, in mezzo alle persone più povere e umili e che lui stesso si toglie una benda per volta dalle varie ferite che ha nel corpo per essere pronto a rispondere alla chiamata dell’Eterno.