Un pugno sullo stomaco che permane fino all’ultima pagina. Il nuovo libro di Lia Levi “Insieme con la vostra famiglia”, Edizioni e/o, racconta la retata di Roma del 1943 vista dai suoi romanzi. Un viaggio che inizia con l’analisi del foglietto che i tedeschi consegnano alle famiglie prima di deportarle ad Auschwitz. “È un foglietto modesto, dall’approccio quasi complice, quello consegnato dalle squadracce SS il 16 ottobre 1943 ai capifamiglia di ogni casa ebraica. Studiatelo, ripetetelo ai vostri figli – avverte Lia Levi – perché è da quelle rozze, elementari parole che l’Apocalisse ha steso le sue braccia”. Lia Levi si sofferma sui particolari di quanto è scritto. “Prendete con voi le tessere annonarie, la carta d’identità, i bicchieri e non dimenticate di chiudere ben a chiave la porta di casa, ammalati, anche gravissimi, non possono per nessun motivo rimanere indietro. Infermeria si trova nel campo”. 20 minuti dopo la presentazione di questo biglietto la famiglia deve essere pronta per la partenza.
Le menzogne dei nazisti. Nell’immaginario collettivo si pensa sempre ai tedeschi come persone ligie e sincere. I nazisti non erano così. I nazisti erano bugiardi, questo dice quel biglietto. I particolari sono raccapriccianti, l’illusione del ritorno, ma anche la menzogna spudorata di chiudere a chiave la porta di una casa che non si rivedrà ma più. La Shoah si basa sulla falsità. “Le SS – scrive Lia Levi – volevano tranquillizzare le vittime in modo che non si verificassero disordini, tentativi di fuga o vere e proprie rivolte. Ma è solo questa la motivazione? Una così forte carica di malvagità solo per motivi di ordine pubblico?”. Lia Levi cita Primo Levi, la volontà delle SS di sopprimere l’avversario si intreccia con una più forte volontà di fargli soffrire le più atroci sofferenze. Ricorda come le 365 SS scelte vennero a Roma soltanto per il rastrellamento con la complicità delle liste redatte dalla polizia italiana, mentre gli ebrei si cullavano nell’illusione di essere protetti sotto il Vaticano e dal patto dell’oro. Spiega Lia Levi perché ha voluto raccogliere tutte le parti dei suoi romanzi che parlano della razzia perché di “quel 16 ottobre ho avuto esperienza diretta”. E per ricordare: “Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia”, è la frase incisa su un muro di Bergen Belsen, scrive.
Così si apre il libro, brani tratti dai suoi romanzi che diventano racconti, il primo “Una bambina e basta” dove Lia dodicenne, nascosta in convento, viene chiamata nell’ufficio della madre badessa e vede sua madre piangere. “Io non avevo mai visto mia madre piangere” e le crolla il mondo addosso perché i tedeschi stanno portando via gli ebrei. C’è Elisa che ha studiato da maestra, con il marito suicida a causa delle leggi razziali, che si inventa un posto di cameriera in una famiglia ebrea ricca perché deve sopravvivere e mantenere la figlia. C’è Corrado che scopre che il braccialetto di sua madre non è stato dato per la raccolta dell’oro. C’è Giacomo che con la famiglia si è rifugiato in una canonica di campagna, ma che ogni tanto va a controllare il negozio in città. C’è Corinna che non vuole scappare per restare accanto al marito cattolico Enzo che, però, si è innamorato dell’attrice Lilli Durante. C’è Graziano, figlio di un membro del Consiglio della comunità ebraica, che si rifiuta di scappare con i genitori. C’è infine il racconto più straziante, pubblicato anche su Shalom, quello che riguarda Marcella Perugia che partorisce al Collegio Romano di via della Lungara dove gli ebrei sono stati portati prima di salire sui vagoni piombati con destinazione Auschwitz.
Racconti che, ribadiamo, sono un pugno nello stomaco che non si attenua, ma un dolore che permane per tutta la durata del libro, che non si cancella perché tutto ciò che Lia Levi racconta è vero anche nella finzione narrativa. Racconti che vanno letti fino in fondo. Per sperare che ciò che è stato non si ripeta più.