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    Il cinema tra luci e ombre della politica

    Il cinema non si lascia mai cogliere impreparato di fronte agli anniversari della storia. Il suo ultracentenario legame con la politica si conferma inossidabile e puntuale nella rilettura e traduzione al pubblico degli eventi. Così mentre si avvicina il cinquantenario della guerra dello Yom Kippur, ecco già sul set il biopic della protagonista principale di quella guerra: Golda Meir. Precisamente il capitolo finale e più doloroso della sua avventura di Primo ministro dello Stato di Israele: quando si trovò a fronteggiare l’attacco di Siria ed Egitto ed il drammatico conflitto che ne seguì tra il 6 e il 25 ottobre del 1973.

     

    Con la regia del premio Oscar Guy Nattiv, ad interpretare la signora di ferro di Israele sarà Helen Mirren, l’attrice britannica non nuova a vestire i panni di grandi donne costrette dal ruolo alla mano ferma e a volte al pugno duro.

     

    In “The Queen, la regina” la Mirren si cala infatti perfettamente nel travaglio psicologico e nel delicato momento politico che Elisabetta II attraversa subito dopo la morte di lady Diana. Tanto da conquistare il premio Oscar nel 2007.

     

    Luci e ombre dei personaggi della grande politica sono da sempre, dicevamo, pane quotidiano per registi e sceneggiatori. E se nelle epoche fortemente ideologizzate, come durante il comunismo o il fascismo, il cinema è stato utilizzato come strumento di propaganda, in epoca di democrazia le sue rappresentazioni hanno saputo coniugare intenti agiografici con spirito critico.

     

    E comunque da non trascurare che le biografie dei leader sono copioni naturali con protagonisti di indubbio carisma e dunque dal successo quasi assicurato.

     

    Pensando a casa nostra diventa addirittura simbolica di un intero decennio di politica italiana l’immagine machiavellica di Giulio Andreotti trasfigurata da Sorrentino ne “Il divo”. Maschera imperscrutabile di una eminenza grigia, interpretata da Toni Servillo. Premio della giuria a Cannes.

     

    Dalla Gran Bretagna svariati i personaggi di respiro internazionale oltre a Elisabetta II.

     

    Intanto Winston Churchill. Ed è solo l’ultimo dei film a lui dedicati “L’ora più buia” in cui Joe Wright ripercorre i primi mesi della seconda guerra mondiale. Interprete d’eccezione Gary Oldman, anche lui baciato dall’Oscar.

     

    Quindi Re Giorgio VI: la sua balbuzie e lo storico discorso radiofonico in cui dichiarò guerra alla Germania ne “Il discorso del re” di Tom Hopper con un Colin Firth in stato di grazia e pioggia di Oscar

     

    Altro must britannico Margareth Tatcher. Il suo ritratto completo in “The iron lady”, dalla drogheria del padre, in provincia, alla conquista di Downing street e fino al tramonto, frutta la terza statuetta hollywoodiana a Meryl Streep.

     

    Personalità che diventano prove del fuoco anche per attori dal curriculum blasonato. Ma proprio grazie all’arte interpretativa finiscono per restare più impressi nella memoria del grande pubblico grazie alla loro immagine cinematografica. Come il Gandhi di Ben Kingsley, la Jackie di Natalie Portman o, indietro nel tempo, i Cleopatra e Marco Antonio di Elizabeth Taylor e Richard Burton.

     

    Se insomma politica e storia sono inesauribile bacino di pesca per il cinema, è spesso merito della settima arte se fatti e volti conquistano l’immortalità anche fuori dal gotha della storiografia.

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