Cosa successe dall’invasione della Polonia nel
1939 alla rivolta del Ghetto di Varsavia terminata il 9 maggio del 1943 è
scritto in alcuni diari che testimoniano come i nazisti, tra false promesse e
violenze quotidiane, abbiano potuto piegare e deportare a Treblinka 300mila
ebrei polacchi.
Emanuel Ringelblum
Le testimonianze di Emanuel Ringelblum non
hanno l’enfasi emotiva di un diario, ma sono tutte le notizie che un archivista
eccellente riesce a raccogliere per lasciarle ai posteri. “Le donne vengono
costrette a lavare i marciapiedi con le mutandine e poi rinfilarsele bagnate,
ad un rabbino viene ordinato di defecare nei suoi pantaloni. Uccisi
contrabbandieri da un poliziotto denominato Frankestein. Hanno scaraventato un
certo Wilner malato accasciato sulla sedia dalla finestra del secondo piano
sparandogli mentre precipitava. Elementi improduttivi, bambini fino a 10 anni e
vecchi dai sessant’anni in su, vengono chiusi in vagoni sigillati, sorvegliati
da guardie tedesche e partono verso destinazione ignota”. Ringelblum non vedrà
la rivolta del ghetto di Varsavia perché verrà fatto scappare prima dell’aprile
1943. I suoi diari saranno messi in contenitori del latte, sepolti dalle
macerie, e diventeranno capsule del tempo che verranno ritrovate e analizzate
fino ai giorni nostri. Morirà nel ’44 quando la Gestapo scoverà il suo
nascondiglio e lo ucciderà insieme a moglie e figli.
Janusz Korczak
Scritti allo stremo delle forze, con sincerità
disarmante a matita, le riflessioni di Janus Korczak non sono un inno alla
morte, anzi tutto il contrario. Sono considerazioni personali, quasi intime,
sul senso della vita, della morte e su tutte le sensazioni provate in quelle
terribili circostanze. Sono parole che fanno male, ma che consentono al lettore
di rivivere, attraverso la lente del famoso pedagogista, la tragedia della
Shoah specialmente dal punto di vista dei bambini. Una scrittura in prima
persona che colpisce, è con il favore delle tenebre che Korczak ci porta dentro
la storia, quella dell’orfanotrofio di Varsavia. Accompagna il lettore nelle
vicende, con un presentimento costante di una morte vicina, imminente. La
stessa educazione alla morte diventerà un importante parte della sua pedagogia,
l’accettazione necessaria di una parte della vita. Il Diario del Ghetto fonde
storie, riflessioni, annotazioni che toccano il profondo dell’anima
ricostruendo, al contempo, una grande pagina della storia del Novecento. Decide
di seguire i bambini nel campo di sterminio di Treblinka malgrado i tedeschi avrebbero
voluto salvarlo.
Merek Edelman
Marek Edelman, noto bundista, ai vertici
dell’organizzazione di combattimento (Zob) descrive l’istituzione della polizia
ebraica, odiata dai bundisti, lo Judenrat, la costruzione del muro e il
contrabbando tra la parte ebraica e quella ariana. “La gente muore di fame in
mezzo alla strada, ogni giorno le pompe funebri raccolgono una dozzina di
cadaveri”. Arrivano lettere che descrivono l’annientamento della popolazione
ebraica, ma “il ghetto non crede” anche quando un attivista riesce ad andare
nella parte ariana ed arrivare fino a Sokolow uno snodo ferroviario verso
Treblinka. A mano a mano, i tedeschi si inventano mosse propagandistiche, “chi
si presenta volontario per la deportazione avrà tre chili di pane e un chilo di
marmellata”. Le persone si consegnano volontarie all’Umschlagplatz da
dove partono i convogli. Quando il 19 aprile i tedeschi decidono di liquidare
il ghetto, la maggior parte degli ebrei è già stata deportata. Con la vittoria
nazista l’8 maggio, lo Zob decide il suicidio collettivo, muore il comandante,
Mordechaj Anielewicz, mentre Edelman riesce a fuggire dalle fogne.
Nöemi Szac-Wajnkranc e Leon Weliczker
Questi diari rappresentano delle testimonianze
uniche e preziose. Un racconto vivido di quegli anni dolorosi: dalla vita nel
ghetto alla resistenza. Sono descrizioni minuziose dell’incertezza e della
paura che animavano quei giorni. La fame, la violenza e il dolore che si
fondono pagina dopo pagina creano la cronaca di un’eredità intellettuale dal
valore unico. È grazie a un gruppo di intellettuali ebrei che le pagine di
questo diario vengono riempite, nonostante la stanchezza e la rabbia. Nöemi Szac-Wajnkranc,
ragazza polacca che troverà la morte in seguito alla deportazione nel 1945, è
autrice di uno dei diari, colei che dà voce a quel dolore costruendo una
testimonianza, giunta a noi dopo la guerra. L’altro autore è invece dell’altro
diario è Leon Weliczker il cui epilogo è diverso
da Noemi, in quanto riesce a sopravvivere alla guerra. Una lettura impegnativa
ma dall’immenso valore storico e culturale.