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    Cultura

    Dai ghetti allo Stato Ebraico. Alle origini di Israele, tra cronaca d’altri tempi e storia contemporanea

    È uscito all’inizio di luglio dell’anno appena trascorso un volume adesso tanto più importante perfino rispetto alle aspettative dell’autore, e forse anche davvero fondamentale per la comprensione adeguata di quanto è accaduto il 7 ottobre 2023 sul confine tra Gaza e Israele (Guido Regina, Lo Stato di Israele. Dalle origini al conflitto israelo-palestinese, 1850-1948. Mimesis Edizioni, Milano/Udine 2023. Pagine 357, Euro 28,00).

    Questo libro è il frutto di lunghe, pazienti, meticolose ricerche di uno studioso che per formazione professionale e scelta di vita ha affrontato un problema storico complesso con l’onestà intellettuale e l’attenzione oggi non sempre scontate nella storiografia per così dire “ufficiale”. Un sistema di storia mediatizzata, nella quale ormai i protagonisti risultano spesso molto attenti all’audience televisiva, alla rete e perfino agli inviti nei talk show di prima serata. Guido Regina è però uno dei più autorevoli tra i maestri italiani della chirurgia vascolare, alla quale si è dedicato per decenni come professore ordinario nell’Università di Bari. Ha praticato dunque un altro mestiere, nelle sale operatorie dove si salvano vite. L’aggettivo “chirurgico” è oggi purtroppo dilagante in contesti del tutto estranei, tuttavia può con valide ragioni essere utilizzato per la precisione dimostrata nella ricostruzione delle vere origini dello Stato ebraico. Le condizioni basilari di un conflitto che continua a svilupparsi e a mietere vittime devono affondare necessariamente le radici in epoche lontane. Tuttavia in questo lavoro si privilegiano giustamente le vicende legate alla condizione ebraica nella Russia degli zar e nell’impero asburgico.

    Anche a voler caritatevolmente sorvolare su certe acrobazie in rete di studiosi anche molto affermati ed autorevoli, il legame profondo degli ebrei con la terra delle origini sembrava paradossalmente negato perfino da qualche sedicente “nuovo” storico di cittadinanza israeliana. Ma anche costoro si sono in qualche misura ricreduti dopo il pogrom che ha visto gli uomini di Hamas perpetrare in una sola giornata orrori che non si erano visti neanche al tempo dei cosacchi, e che perfino gli ufficiali delle SS preferivano delegare periodicamente alla manovalanza reclutabile facilmente in Lituania e in Ucraina durante gli anni della Shoah. La premessa indiscutibile del ritorno degli ebrei nella terra che fu Canaan e poi Erez Israel va ricercata nelle aspettative messianiche che caratterizzarono l’età delle diaspore. Ma la dispersione diasporica ha ricevuto in lingua ebraica un sostantivo che allude a tutt’altro, e significa invece “esilio”. Quando tutta la Keillàt Israel, ovvero l’intera collettività dispersa, dovesse ritornare allora ci sarebbe la redenzione anche dell’intera umanità. Vi si oppongono le forze del male e il peso delle trasgressioni commesse proprio dalla Keillàt. Si tratta ovviamente di concetti e convinzioni di natura strettamente religiosa, anche lontani dalla psicologia collettiva degli ebrei di oggi. Tuttavia, come spiega Guido Regina, il messianismo delle attese trovò nell’Europa centro-orientale del secolo XIX una valenza politica che aveva trovato facili riscontri durante l’età delle emancipazioni pienamente realizzate prima con la rivoluzione francese e infine con Napoleone Bonaparte. Forse agli ebrei, adesso, non si perdona neanche l’emancipazione. Nell’autunno del 1792 gli eserciti della rivoluzione francese presidiavano ormai saldamente le città tedesche appena al di là del vecchio confine. E prima dei soldati era arrivata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Gli ebrei dell’est erano poveri, anzi poverissimi per la maggior parte. Però il mito fake, diremmo oggi, dell’ebreo usuraio e capitalista, contraddittorio finanziatore di comunisti nemici delle nazioni, nacque immediatamente in perfetta sintonia con la fine dei ghetti. In Europa avrebbe aperto la via verso altri ghetti creati dai nazisti non per l’esclusione bensì per lo sterminio.

    Le chiavi di volta che permisero la proclamazione dell’indipendenza il 14 maggio 1948 sono due. La prima è il desiderio assoluto di uguaglianza di fronte alle leggi. Tuttavia, dopo appena un secolo dall’emancipazione si era già formato il movimento sionistico, per la fondazione appunto di uno Stato ebraico. Questa seconda chiave fu forgiata dall’opera infaticabile di un ebreo di Budapest, un ebreo nato ebreo, ma che a malapena sapeva di esserlo fino al fatale 1894 dell’Affaire Dreyfus. Il 5 gennaio 1895, a Parigi, Theodor Herzl si trova all’esterno della Scuola Militare, mentre nel cortile dell’edificio la corte marziale fa spezzare la sciabola d’ordinanza del capitano Alfred Dreyfus. Vede sfilare in corteo di molte migliaia di persone al grido di “mort aux Juifs!”. Era aperta la via che portò ai congressi del movimento sionista. Il mondo arabo-islamico decise molto presto di rifiutare la nuova realtà ebraica, come questo libro documenta con una grande mole di dettagli. Le conseguenze le sta tuttora pagando, forse, l’intera politica internazionale.

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