Durante la Grande guerra alcuni artisti arruolati a Ferrara furono attratti dalla tradizione e dai luoghi della vita ebraica. L’interesse per i diversi aspetti culturali fu tale che molte di queste suggestioni entrarono nei loro quadri e negli scritti. Per esempio Alberto Savinio (pseudonimo di Andrea de Chirico) nel suo racconto “L’ora ebrea” ricordava che l’8 di scebaht 5676 [13 gennaio 1916] aveva acquistato il settimanale “Israel” che proprio quel giorno cominciava le sue pubblicazioni, segno che l’intento del periodico di arrivare a un pubblico non ebraico era stato centrato.
Era però l’antico ghetto con i sui edifici e le vie che avevano mantenuto il loro aspetto tradizionale a lasciare una traccia. Lo stesso Savinio ricordava i dolci venduti “nella Vignatagliata, nel vicolo Mozzo, in quella via Sabbionara che divenne poi via Mazzini, per riconoscenza alle istituzioni liberali inaugurate dal giovine Regno, che infranse le catene, di cui ancora si scorgono i mozziconi pendenti dai pilastri delle porte di pietra, aprendo il serraglio” conferendo ai luoghi anche un aspetto misterioso.
Ma fu soprattutto Giorgio de Chirico ad attingere suggestioni per i suoi “Interni metafisici”, quadri dove si affastellano oggetti, biscotti, scatole e strumenti da disegno. Nella costruzione di queste immagini le botteghe e le vie di Ferrara furono fondamentali ma soprattutto “l’antico ghetto ove si trovavano dei dolci e dei biscotti dalle forme oltremodo metafisiche e strane” ebbero un impatto sulla pittura.
A de Chirico l’amico Filippo de Pisis dedicò in quegli anni un componimento poetico “Asilo infantile israelitico”, un’associazione oltremodo visionaria che però ci permette di ricordare come quello fu un luogo di grande solidarietà: dal 1915 la Comunità ebraica si era attivata nell’assistenza civile ospitando, tra l’altro, oltre 25 bambini di soldati richiamati al fronte.