A 59 anni dalla pubblicazione de Il Giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani e a 51 dall’uscita dell’omonimo film di Vittorio De Sica, ancora oggi queste due opere sono considerate, soprattutto all’estero, tra le più importanti riguardanti il tema delle persecuzioni e della Shoah in Italia.
Una storia che è entrata nell’immaginario collettivo, a tal punto che, ancora oggi, chiunque visiti Ferrara, fa questa fatidica domanda: “Scusi, sa dirci dov’è il giardino dei Finzi-Contini?”. In pochi sanno però che in realtà il giardino non esiste. O almeno non è un luogo “fisico”.
Da un incontro casuale con una comitiva di turisti in cerca di quel luogo che è nata l’ispirazione dell’artista israeliano Dani Karavan, il quale ha deciso di farne un’opera.
Per realizzare l’installazione artistica, che si trova presso il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah – MEIS, sono state necessarie numerose ricerche, di cui si è occupata la figlia dell’artista, Noa, la quale ne ha fatto un soggetto per la realizzazione di un docufilm.
La pellicola prende il nome proprio dall’opera di Karavan, Il giardino che non c’è. Prodotto da Alto Piano (Italia) e Les Films Du Poisson (Francia), è stata scelta per la regia Rä Di Martino.
Qualche settimana fa sono cominciate le riprese in location come: l’Orto Botanico, il Giardino di Ninfa, Villa d’Este e la stanza di Livia a Palazzo Massimo. Oltre a Roma, il film tocca anche diversi luoghi simbolo di Ferrara: dal Cimitero Ebraico, dove è sepolto l’autore del libro, al MEIS, dove è installata l’opera di Karavan, fino ad arrivare alla Biblioteca Ariostea, dove è depositato il manoscritto originale di Bassani.
In una delle giornate di riprese, Shalom ha avuto la possibilità di visitare il set dell’Orto Botanico. Questa oasi verde nel quartiere di Trastevere è stata protagonista di diverse interviste ad attori del film.
«Rä ha programmato molte interviste in questi giardini e momenti di finzione con giovani attori. Questo materiale costituirà l’ossatura del film, dove nel fluido susseguirsi di incontri e scene troveremo importanti materiali d’archivio e spezzoni dal film di Vittorio De Sica» ha detto il produttore Matteo Frittelli di Alto Piano.
Il progetto della regista ruota proprio attorno al giardino e al significato che la creazione letteraria e artistica gli hanno dato. «In questo caso rappresenta un luogo di protezione, di memoria, – spiega Di Martino – ed è bello anche che le persone lo vadano a cercare, c’è una necessità della gente di sognare che questo luogo esista. Ci sono tantissimi spunti e punti di vista, quindi cerco di fare domande più che dare io una risposta».
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Il piccolo giardino giapponese del Giardino Botanico, con le sue piante, gli alberi colorati e piccoli laghetti, ha fatto da cornice alle scene dedicate all’attore e regista Alessandro D’Alatri, che nell’opera di De Sica interpreta Giulio da ragazzino.
In un’intervista a Shalom l’attore ci racconta di quei giorni sul set e della figura di Vittorio De Sica. «Quando entrava, di colpo, magicamente calava il silenzio, che, secondo me, era una forma di rispetto molto forte da parte di tutti quelli che fanno il cinema – ha ricordato D’Alatri di quelle giornate – e lui in quel rispetto trovava l’energia per lavorare con noi».
«Le sue indicazioni di regia in quei giorni sono stati un viatico, per me quei giorni sono stati un ricordo di come si fa quel mestiere. Lui si metteva lì, e dava gli input agli attori su come dovessero recitare quel ruolo» racconta l’attore che impersonava il piccolo Giorgio. Le indicazioni del regista Premio Oscar per D’Alatri erano più di un’indicazione verbale, «ti mostrava come fare quella parte nel modo giusto. A fine giornata sapevi di aver fatto bene».
Il progetto della Di Martino è un modo per gli intervistati di far riaffiorare vecchi ricordi, come per D’Alatri, il quale ha ripensato ai giorni passati sul set con la madre, che lo accompagnava in giro per l’Italia per le varie produzioni cinematografiche. «Quando ripenso al Giardino dei Finzi-Contini ripenso a lei e a quelle avventure artistiche che alla fine hanno segnato per sempre la mia vita. Mi sono ritrovato questo giocattolo degli adulti, e tuttora per me lo è, perché finché c’è una visione ludica della vita, allora ci salviamo dalla vecchiaia» ha concluso l’attore.
Quella di D’Alatri è solo una delle numerose interviste realizzate per Il Giardino che non c’è. Con parte del cast del film, attraverso contributi di Lino Capolicchio, Raffaele Curi, Fabio Testi e Dominique Sanda, si è cercato di rivivere i momenti più importanti della pellicola di De Sica. Mentre attraverso l’aiuto di esperti e dei familiari di Giorgio Bassani, la Di Martino ha voluto scavare a fondo sulla vita dello scrittore, capire cosa lo avesse ispirato a realizzare quest’opera. Il Direttore di Shalom Ariela Piattelli ha invece spiegato l’importanza del film per la storia del cinema «perché Il Giardino dei Finzi Contini ha contribuito alla costruzione nell’immaginario collettivo, dell’identità degli ebrei italiani».