Si è spento ieri a 97 anni, presso l’ospedale San Martino di Genova, Arturo Schwarz, artista poliedrico e anticonformista. Il mondo dell’arte lo piange; ne piange il suo genio e l’immenso contribuito. Scrittore, poeta, docente, storico dell’arte, trozkista, e collezionista dei surrealisti, ma soprattutto sionista. L’amore incondizionato per Israele lo ha infatti accompagnato tutta la vita, nonostante il suo atteggiamento riluttante e avverso alla religione, Schwarz ha permesso all’arte israeliana di viaggiare in tutto il mondo aprendo un canale di pace e dialogo attraverso la cultura. Un uomo dai mille volti, contrario a tutte le etichette della società ma con un grande amore per l’arte e la terra d’Israele. Shalom ha intervistato Ermanno Tedeschi: artista, gallerista e scrittore, ma soprattutto collega e amico di Arturo Shwartz. Il loro rapporto e le sue parole hanno permesso di tracciare un profilo illuminante dell’artista scomparso.
Come ha conosciuto Arturo Schwarz?
Sono stato per 20 anni gallerista. Era il 2005 e avevo una galleria a Torino un giorno ricevo una chiamata “Sono Arturo Schwarz ho visto che lei tratta artisti israeliani e arte ebraica oggi vengo a trovarla”. Chiaramente è stata una grande emozione, lo consideravo un’icona. Una volta nella mia galleria si appassionò molto anche agli artisti italiani e decise di acquistarne un numero. Dopo questo evento il rapporto si intensificò molto. Qualche anno dopo seppi che aveva fondato l’associazione Amici del Museo di Tel Aviv, mi chiamò per dirmi “sono molto stanco, ho tante cose da fare e ho una certa età vorrei che tu ne diventassi presidente”. Io non sapevo cosa fosse questa associazione, neppure ne facevo parte. Nonostante ciò, per alcuni anni fui presidente. Arturo mi ha insegnato molte cose, mi ha fatto conoscere il mondo dell’arte israeliana tra cui Menashe Kadishma. Era un personaggio particolare, un dialettico per eccellenza. Non era una persona semplice è chiaro, trozkista e combattente, ma andavamo d’accordo. Era semplicemente un genio in sregolatezza.
Come potremmo definire l’identità ebraica di Shwarz?
Fortissima era la sua identità ebraica, e fortissimo il suo legame con Israele. Mi ricordo gli venne dato il passaporto israeliano nonostante non avesse mai fatto richiesta, ma soprattutto nonostante si considerasse completamente laico e avulso ad ogni forma di religione. Ho appreso infatti che verrà seppellito al cimitero monumentale di Milano con un funerale totalmente laico. Da una parte mi ha stupito ma dall’altra no, si è dimostrato coerente con le sue idee fino alla fine. Era riluttante nei confronti della religione ma molto legato alla sua identità ebraica, un dualismo che mi ha sempre colpito. Ricordo quando eravamo in Israele insieme, per lui quella terra rappresentava tutto: dall’arte, ai suoi amori fino al cibo. La amava.
Cosa porterà con sé di questa figura affascinante?
Il bagaglio culturale che porterò con me è vasto. Sicuramente ciò che mi ha regalato è la conoscenza dell’arte israeliana. Ricordo in particolare una mostra nella mia città, Torino, aveva organizzato una mostra sui più bravi e storici artisti israeliani. Mi aveva affidato il compito di aiutarlo e seguirlo, venne anche Kadishman, personaggio estremamente particolare e fuori dagli schemi. Lo ricordo alla presentazione della mostra con dei pantaloni corti e la sua immancabile camicia, abbottonata appositamente dall’interno, perché come diceva sempre, si sarebbe abbottonato la camicia nella maniera giusta solo quando sarebbe giunta la pace in Medioriente. Mi porto dietro soprattutto il modo in cui mi ha trasmesso che l’arte israeliana può essere un veicolo per far conoscere il popolo ebraico al mondo. Ritengo infatti che sia un vero strumento ambasciatore di pace in grado di farci dialogare con gli altri. Aveva una cultura incredibile ma anche una grande generosità, sapeva essere mercante d’arte ma anche mecenate. Ha acquistato pezzi di artisti emergenti italiani ma non solo; ha donato infatti molte opere all’Israel Museum, alla Galleria Nazionale di Roma e al Tel Aviv Museum. Ritengo che donare ai musei israeliani gran parte della sua collezione sia un grande atto di bontà e appartenenza al popolo ebraico.