Quanto può far male il passato? Quando può far male portare dei segreti dentro di sé? Lo sa bene Rudolf, che ha vissuto la sua intera esistenza cercando di sotterrare i fantasmi del suo passato. “Un nome che non è il mio” di Nicola Brunialti (Sperling & Kupfer) è un romanzo complesso, che si trasforma in saggio storico in grado di analizzare scientificamente la Shoah, fondendola alle vicende personali dei personaggi. Ambientato nella Vienna di oggi, il romanzo parte con Rudolf Steiner, un uomo ormai vecchio e rassegnato alla convinzione che tacere il suo passato doloroso sia l’unico modo per andare avanti. Un giorno però, suo nipote Marcus, quindicenne ribelle, viene sospeso per aver imbrattato i muri della scuola con frasi offensive verso una compagna ebrea. È così che Rudolf si convince che la memoria non può essere taciuta oltre. Decide dunque di portare il ragazzo in Polonia, un’occasione, forse l’ultima, per riportare a galla dei ricordi sepolti per troppo tempo. Una storia toccante e profonda che ci riporta tra le dolorose mura del ghetto di Varsavia. Caratterizzato da una minuziosa ricerca storica, questo romanzo è un sorprendente viaggio letterario nella storia fatta di coraggio e di crudeltà. Un racconto che mette in luce un mosaico di esistenze e storie spezzate dall’atrocità del nazismo.