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    “Ogni libro è un sogno e i miei libri hanno due case ora: Italia ed Israele” – L’intervista di Shalom ad Eshkol Nevo

    Eshkol Nevo, uno degli scrittori più conosciuti e amati del panorama israeliano, cantore della complessità dei sentimenti e abile demiurgo. Si trova in questi giorni a Milano in occasione della ventiduesima edizione della Milanesiana, rassegna culturale nata nel 2000. Shalom lo ha intervistato, emozionato e felice di tornare, dopo due anni di assenza a causa della pandemia, dall’ Italia; quella che lui stesso definisce “la sua seconda casa”.  Ha parlato, senza risparmiarsi, del suo rapporto speciale con il nostro paese, di come questa pandemia ci abbia indelebilmente segnato e soprattutto dei suoi nuovi progetti: l’imminente uscita del film di Nanni Moretti tratto dal suo libro Tre piani e un nuovo progetto letterario in corso.

     

    A breve uscirà nei cinema il film di Nanni Moretti tratto dal suo libro “Tre piani”, come ha vissuto l’esperienza della trasposizione cinematografica? Ci sono state modifiche alla trama? Ma soprattutto quando un autore lascia andare i propri personaggi per la stesura di un film si sente un po’ geloso? Si può dire che vive una sorta di separazione da questi?

     

    Per cominciare io mi sono sentito molto fortunato a collaborare con Nanni Moretti per la trasposizione cinematografica del mio libro; sono stato anche a visitare il set tre anni fa. Ho sentito letteralmente di vivere un sogno, il mio sogno; lui lo ha preso, e ha deciso di farlo diventare realtà. Di vivere il suo sogno basato sul mio, in un certo senso. Io reputo ogni libro un sogno, il sogno di ogni scrittore. Ricordo che Nanni Moretti mi disse ancor prima di cominciare a lavorare al progetto, che i tre piani, che sono ben separati nel libro, andavano senza dubbio connessi di più all’interno del film; attraverso delle interessanti strategie di storytelling nel film, i personaggi interagiscono molto di più tra loro. Ci sono differenze tra libro e film ma è stata una buona scelta. 

     Tre settimane fa ho visto il film per la prima volta, l’ho rivisto poi un’altra volta a seguire. La prima volta sostanzialmente cercavo di porre l’attenzione su come fosse coerente con il libro, ma così facendo non mi sono davvero goduto la visione. Dunque, ho preso un respiro profondo, e l’ho visto una seconda volta cercando semplicemente di godermi il film. Gli attori sono fantastici, riescono a portare le emozioni ad un livello altissimo. Seppur con alcune differenze dal libro, sono molto orgoglioso di essere parte di tutto ciò, infatti sarò a Roma a settembre per l’uscita del film.  

     

    Nei suoi libri, in maniera a volte velata a volte meno, si parla spesso di politica. Qual’ è la sua posizione circa il nuovo governo israeliano?

     

    Sono molto diretto ma soprattutto tutti sanno quello che penso circa la politica in Israele. Ho manifestato insieme ad altri artisti per circa un anno, chiedendo democrazia, libertà e giustizia uguale per tutti. Il nostro primo ministro è stato accusato di corruzione; eppure, è rimasto primo ministro, questo in qualche modo ha paralizzato il sistema politico che stava collassando giorno dopo giorno. Noi eravamo stanchi per questo siamo scesi in piazza a protestare. Si è rivelata un’esperienza forte essere parte di questo movimento. Abbiamo detto spesso alle persone di dimenticarsi di sinistra e destra ma di unirsi alla luce di quanto c’è scritto sulla dichiarazione d’indipendenza del 1948. Sono molto sollevato che la situazione sia cambiata, sono orgoglioso che le manifestazioni abbiano sortito qualche effetto, durante il Covid potevamo uscire solo per manifestare e questa è stata un’immagine importante per Israele, vederci tutti stretti, uniti per una causa. Forse un giorno scriverò di tutto ciò, ora forse è troppo presto.

     

    Tra gli scrittori israeliani lei è uno dei più amati in Italia, che rapporto ha con l’Italia? E soprattutto pensa che la letteratura israeliana abbia una responsabilità particolare nei confronti del mondo? Che sia in grado, in un certo senso, di far conoscere la vera Israele attraverso le parole?

     

    Io penso che, e questo è il motivo per cui ero così felice di tornare qui, i miei libri posseggano due case ora. Mi è capitato di tradurre in dodici lingue, eppure sostengo senza dubbio che l’altra casa dei miei libri sia l’Italia. “Tre piani” ad esempio ha venduto più copie in Italia che in Israele, il mio primo libro che ha vissuto questo fenomeno. Questo dimostra che i miei libri, e così io, non sentano nessun tipo di confine culturale. I miei lettori italiani possono appartenere ad ogni categoria: ebrei, cristiani, giovani, anziani ma credo che siano tutti connessi ai miei libri nella stessa maniera. Forse fisicamente ho bisogno di essere tradotto ma dal punto di vista emozionale non ne ho bisogno. Non parlo ancora l’italiano, ma quando scrivo di emozioni percepisco di esser compreso e per questo mi sento davvero a casa. Ho provato molta nostalgia in questi due anni lontano dall’Italia, mi reputo un artista che ha due case, ma a causa della situazione ne ha potuta vivere una sola.  Ma ora sono di nuovo qui, incontro i miei lettori di nuovo ed è davvero emozionante. Sono molto fortunato in questo, non tutti gli scrittori israeliani lo vivono, forse altri due o tre assieme a me. Io qui sono letteralmente a casa lontano da casa. Ho appena pubblicato un nuovo libro in Israele e penso che arriverà in Italia entro un anno, e sono certo che qui vivrà un’altra vita. Tornando alla domanda della responsabilità, beh non vivo nessuna responsabilità. La mia responsabilità oltre alla scrittura è quella politica; nei mesi precedenti, in Israele, sono stato in prima linea per difendere i diritti di tutti, anche e soprattutto attraverso i miei libri; incoraggio attraverso questi a combattere per la democrazia. In Italia non sento questa responsabilità e sono molto orgoglioso di essere israeliano. Mi sento responsabile dei valori umani in generale, questo si.

     

    Come ha vissuto questa situazione della pandemia Covid 19? Pensa che questa situazione abbia influito sul modo di vivere e di pensare delle persone? Ci ha migliorato o peggiorato? E per lei, è stato spunto di riflessione la sua scrittura? 

     

     E’ complicato. Da una parte è stato terribile, io stesso ho perso un amico a causa del Covid. Una grande figura all’interno del panorama letterario d’Israele, ma soprattutto un grande amico per me; di conseguenza non posso essere felice di quanto ha prodotto questo virus. Tuttavia, questa situazione mi ha portato un nuovo libro. Ho avuto molto tempo, mi sono potuto concentrare, non ho dovuto viaggiare. Ho incontrato le altre persone raramente e mi sono potuto immergere nella mia storia. Ho scritto anche per Vanity Fair e ho letto molto in quei giorni. Durante il secondo lockdown in Israele avevo terminato il libro; in questo momento lì sono già iniziati i book tours per il mio nuovo libro, il primo pubblicato in Israele dopo il “risveglio” dalla situazione pandemica. Il pubblico ha già reagito molto positivamente a questa nuova opera, è già tra i best seller. Ma sono stato contento specialmente perché le persone sono potute venire alle presentazioni fisicamente, ho potuto incontrarli ad un pranzo tenutosi a Gerusalemme. Questo mi ha dato modo di notare quanto tutti fossero felici di essere di nuovo parte delle iniziative culturali. Questo tipo di vita, che abbiamo vissuto negli ultimi due anni, non è il tipo di vita che voglio vivere. Alcuni miei conoscenti mi hanno detto “mi ha fatto piacere stare un po’ da solo, il silenzio, le strade vuote”. No, a me non è piaciuto tutto questo, non mi piace il distanziamento sociale. Sono felice che tutto sia finito, in Israele come in Italia.

     

    Un altro tema molto ricorrente all’interno dei suoi libri è la memoria, che rapporto ha con la memoria? Quanto è importante per lei far affiorare i ricordi e parlare di memoria nella stesura delle sue opere? 

     

    Posso rispondere in due modi a questa domanda. Una risposta personale e una culturale. Dal punto di vista personale, io sono una persona che ricorda tutto, perdono raramente e tengo molto a mente i miei ricordi. Il modo migliore però per proteggere la memoria è scriverne; trasformarla, manipolarla in una storia. La memoria è il mio principale obiettivo artistico. Ma questa è una risposta molto personale, dal punto di vista culturale la memoria è un’altra cosa. Il fatto che io scriva in ebraico fa sì che ogni parola che utilizzo abbia un suo significato ed abbia il potere di evocare più cose contestualmente. Faccio un esempio: per la stesura del nuovo libro ho scritto molto spesso la parola “pardes” che significa frutteto (פרדס).  Contemporaneamente questa stessa parola evoca ricordi diversi tra loro ma tutti legati all’ebraismo. Può voler dire anche paradiso nella tradizione, ed è anche connessa a storie del Talmud riguardanti quattro metodi; non solo, è presente anche alla Kabbala. Questa parola ha il potere di evocare immediatamente tanti ricordi e significati diversi tra loro e credo che questo sia il bello di scrivere in ebraico; la possibilità di avere più significati evocativi in una stessa parola.

     

    Come anticipava il suo nuovo libro è terminato, quali saranno ora i suoi progetti?

     

    Già il mio nuovo libro, la struttura è leggermente simile a “Tre piani”, dividendosi anche questo in tre parti, ma sul finale è molto differente. Stiamo già lavorando alla traduzione. Spero di poterlo far leggere molto presto ai miei lettori italiani.

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