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    “La lettura è l’esperienza più forte” – Intervista ad Assaf Gavron

    Mentre il sole di Roma accarezza gli scavi del foro, lo scrittore israeliano Assaf Gavron ci accoglie sorridente, in uno dei più antichi palazzi della città, raccontando di sé e del suo rapporto con la letteratura. Un artista eclettico e originale, nella Capitale in occasione del Festival “Letterature”.

     

    Assaf Gavron: scrittore, traduttore, insegnante e musicista I suoi libri spaziano in ogni genere, dalle distopie ai thriller. Ha pubblicato sette libri, tra questi tradotti in italiano: “La mia storia, la tua storia” (Mondadori) romanzo in cui due ragazzi profondamente diversi si scoprono quasi speculari. “La collina” (Giuntina) un testo che analizza in maniera particolare il conflitto israelo-palestinese. “Idromania” (Giuntina) un thriller distopico e affascinante. E “Le 18 frustate” (Giuntina) libro che riesce sinergicamente ad incastrare il giallo al romanzo storico. Imponendosi così al pubblico internazionale come una delle voci più significative della letteratura israeliana. Lui ha raccontato a Shalom molto di sé, del futuro che vede per la lettura, e del suo rapporto con l’Italia.

     

    Quale ruolo gioca la letteratura oggi, in particolare con l’avvento di nuove forme di intrattenimento?

     

    Senza dubbio la letteratura non ha il ruolo centrale che dovrebbe avere, non è influente come dovrebbe essere, soprattutto a causa della competizione con gli altri media. Specialmente tra i più giovani, e questo lo vedo con la generazione di mia figlia. Molto spesso è un discorso legato alla pazienza e al tempo, io stesso oggi durante il volo sono riuscito a cominciare e finire un libro, e non mi capitava da molto. Nonostante io sia uno scrittore, a volte non riesco a dedicare tutto questo tempo alla lettura e l’ho davvero apprezzato, è stata un’esperienza unica. Forse proprio questo è il potenziale della letteratura, l’esperienza unica che può donare; non è superficiale, necessita tempo per poter entrare nella narrazione e immedesimarsi nei personaggi, per poter imparare e comprendere. La lettura è l’esperienza più forte.

     

    In questo senso lo scrittore ha un “compito”?

     

    Non penso si possa parlare di “compito”, noi scrittori non vogliamo cambiare il mondo e renderlo migliore, e questo vale per Israele ma anche per altri luoghi. Scrivere è una professione slegata da ogni ruolo. D’altronde dipende molto dall’obbiettivo dello scrittore, c’è chi vuole intrattenere, chi vuol far ridere, ognuno scrive di ciò che sente. I miei libri sono tutti diversi proprio perché non mi impongo mai un messaggio da inviare, mi chiedo semplicemente “Cosa mi interessa? Cosa mi affascina come scrittore?”. Se i miei lettori imparano qualcosa che non sanno su Israele per me è un valore aggiunto, se loro sorridono e si divertono per me è perfetto così. Credo sia sbagliato avere un progetto quando si scrive, la cosa più bella è descrivere onestamente la propria cultura; dalle cose belle a quelle brutte. Mi piace mostrare l’intera rappresentazione della realtà, da ogni prospettiva.

     

    Considerando che è stato spesso in Italia, che rapporto ha con il nostro paese e soprattutto con il pubblico italiano, che apprezza moltissimo la narrativa israeliana?

     

    Questa è un’ottima domanda. Ho pubblicato nel 97 il primo libro in Israele, che è stato tradotto 13 anni fa. I paesi in cui i miei libri hanno avuto più successo sono la Germania e l’Italia, e infatti sono i luoghi in cui sono stato di più negli ultimi anni. Il mio primo libro è stato pubblicato con Mondadori, e gli altri con Giuntina. Il merito dei miei lettori italiani è che sanno prescindere dalla situazione politica di Israele e fruiscono della sua narrativa. A loro importa poco delle posizioni politiche, se il libro è un buon libro lo leggono svincolati da ogni pregiudizio. Differentemente da quanto accade in America o in Inghilterra. In Italia c’è molta cultura in generale, ma specialmente legata alla lettura e forse questo permette ai miei libri di raggiungere i lettori qui, c’è una maggiore apertura nei confronti della letteratura straniera. Poco prima delle chiusure dovute al Covid, il mio ultimo viaggio è stato in Italia, nel nord, tra Bologna e Milano. Devo dire è stato pazzesco incontrare tutti i miei lettori italiani, sono felice perché ogni volta che passo per questo paese chiedono di me, di potermi intervistare, di poter scrivere per loro. Il mio rapporto con l’Italia è molto forte, ma vedo con piacere anche la popolarità degli altri scrittori israeliani, come Ayelet Gundar Goshen ed Eshkol Nevo, un mio caro amico.

     

    Ci sono programmi letterari in arrivo? Sta scrivendo un nuovo libro?

     

    Si, sto lavorando a nuovo libro da circa quattro anni. Sono scrittore dal 1997 eppure mi sembra di non sapere cosa faccio, sto cercando di trovare una nuova struttura per questo libro. Ci sono però già i personaggi e l’ambientazione. Non so come andrà ma è affascinante proprio per questo, per me è sempre l’inizio di qualcosa di nuovo, una sfida sempre diversa. Sto lavorando anche ad un programma televisivo in parte ambientato in Italia, e ad una raccolta di novelle legate al post capitalismo letto in una chiave futuristica.

     

    Cosa accadrà in futuro ai libri? Cambieranno? Come?

     

    Non lo so, penso che ci saranno sempre scrittori e di conseguenza libri. Noto sempre più spesso che molti miei colleghi talentuosi si spostano verso la televisione, e non solo per il guadagno. Penso che gli scrittori si dovranno forse adattare di più ai cambiamenti, ma fondamentalmente non sono convinto che solo la nostra generazione apprezzi la lettura. Al contrario credo che anche le nuove generazioni comprendano e apprezzino l’esperienza che vivono leggendo un libro, che è ancora unica e differente da tutte le altre. Suona quasi divertente che le nuove generazioni scrivano e leggano così velocemente, ma lo fanno con poche parole e con molte emoji. Tuttavia, sono sicuro che anche in futuro le persone apprezzeranno il tempo che si può trascorrere assieme ad un libro, solo tu e la tua immaginazione. Serie tv, film, giochi possono intrattenere, ma rischiano di farci perdere la bellezza nel creare una storia nella nostra testa. Le persone avranno sempre bisogno di storie per vivere meglio, ne sono certo.

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