È una storia fatta di tragedia e salvezza quella raccontata nel libro “Il bambino del tram” scritto da Isabella Labate (Orecchio Acerbo) che ripercorre la vicenda di Emanuele Di Porto. Una storia di dolore e speranza di un bambino ebreo nella Roma occupata dai nazisti. Il 16 ottobre del 1943 per gli ebrei romani segna un momento tragicamente indimenticabile. Il quartiere ebraico, per molti semplicemente “piazza”, viene chiuso completamente dai nazisti che cominciano alle sei del mattino i rastrellamenti degli ebrei romani. 1023 vengono deportati nei campi di sterminio e solo 16 sopravvivono, 15 uomini e una sola donna. Ma tra quelle vite spezzate ci sono anche storie straordinarie. Racconti di coraggio e resilienza, anche di altruismo. La storia di Emanuele Di Porto è tra queste.
A quasi ottant’anni da quel sabato nero, una delle storie più commoventi è diventata finalmente un libro. Un testo per non dimenticare il coraggio delle persone che hanno sacrificato la loro vita per salvare altre vite, in quei giorni in cui l’umanità sembrava aver perso il suo volto. È un sabato come gli altri in quel tremendo autunno ’43 ed Emanuele dorme. Nel frattempo sua madre esce di casa per avvisare il marito che i nazisti sono arrivati e stanno cominciando ad arrestare gli ebrei. Lascia i suoi figli nel letto, convinta di tornare, ma purtroppo il destino ha in serbo qualcosa di terribile. Così Emanuele è svegliato dal caos di Via della Reginella e la vede dalla finestra mentre sale su una camionetta nazista. Il cuore gli si ferma, corre forte per raggiungerla, ma lei per salvarlo da una fine terribile gli tira un calcio per allontanarlo. Solo e pieno di domande scappa e, senza altre soluzioni, sale sulla circolare. Lì i tranvieri lo consolano, danno lui da mangiare e da bere, lo scaldano ma soprattutto lo proteggono. Rimane lì, in quel microcosmo, finché un giorno qualcuno casualmente sale su quel tram e lo avvisa che suo padre e i suoi fratelli sono ancora vivi e lo cercano. Emanuele torna verso casa, riabbraccia suo padre e ricomincia la sua vita, nonostante le ferite e senza dimenticare mai quell’ultimo grande gesto d’amore di sua madre e il coraggio di quei tranvieri.