Skip to main content

Ultimo numero Settembre – Ottobre 2024

Scarica il Lunario 5784

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    ISRAELE

    L’inizio del Ramadan: un momento cruciale per la guerra di Gaza

    I compromessi di Israele per tutelare i civili
    Mentre il discorso antisemita sul “genocidio” di Gaza e la “resistenza” di Hamas si diffonde epidemicamente, da Erdogan alle “femministe” di “Una di meno”, da Guterres a Putin, Israele ha di fatto accettato un rallentamento delle operazioni in attesa delle trattative per la liberazione dei rapiti, che Hamas si è tenacemente rifiutato di proseguire senza porre condizioni che significherebbero la sconfitta di Israele, come l’uscita di tutto l’esercito da Gaza. È una strana situazione che si unisce ad altre concessioni israeliane che non si erano mai viste in guerra. Durante il conflitto in Vietnam, si può immaginare che gli americani accettassero che i russi, poniamo, sorvolassero le loro posizioni per lanciare dall’alto rifornimenti ai vietcong? O si può pensare che gli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale lasciassero che l’Argentina o la Svizzera rifornissero la Germania assediata, magari aprendo un porto artificiale per le navi che li dovevano portare o permettendo agli svizzeri di valicare il confine sotto il loro controllo per soccorrere i nazisti? Eppure è quel che sta accadendo a Gaza.

    I rifornimenti alla popolazione di Gaza
    Le merci ufficialmente dedicate alla popolazione, ma sostanzialmente destinate a Hamas, attraversano il valico di Keren Shalom, in Israele e la polizia israeliana arresta i manifestanti che vi si oppongono; gli aerei americani, ma anche giordani ed egiziani e presto forse turchi sorvolano Gaza, il cui spazio aereo è controllato da Israele, per paracadutare rifornimenti. Durante il discorso sullo “stato dell’Unione” Biden ha annunciato la creazione di un porto artificiale per sbarcare altri materiali, e non solo Cipro ha subito dichiarato a nome dell’Unione Europea di voler aprire un “corridoio umanitario” marittimo per Gaza, ma Israele ha accettato di buon grado l’iniziativa. Si dice che in questo modo si aiuterebbe la popolazione civile e non i terroristi. A parte il fatto che Hamas si impadronisce con le armi di tutti i materiali che arrivano e che la distinzione fra terroristi e civili in questa guerra si è mostrata molto problematica, in tutte le guerre della storia, a partire almeno da quella di Troia, l’assedio che rende difficile la vita a tutto il nemico è uno strumento bellico fondamentale. E sul piano giuridico, Hamas che ha dichiarato guerra a Israele il 7 ottobre era il governo di fatto di Gaza e della sua popolazione, che secondo tutti i sondaggi lo appoggiava allora e probabilmente lo appoggia ancora oggi. La guerra parte da un territorio e da un popolo ed essi subiscono da sempre le responsabilità delle scelte del governo.

    Il ruolo degli Stati Uniti
    Ci si potrebbe chiedere la ragione di questa remissività di Israele, che pure non combatte una guerra normale, ma è minacciato nella sua stessa esistenza da un nemico la cui barbarie può essere accostata solo a quella dei nazisti. La ragione evidente, come è emerso dal discorso di Biden, pieno di intimazioni a Israele a “moderare” o piuttosto a bloccare la sua azione, è la pressione americana, che ha tre leve principali. La prima è l’influenza sulla diplomazia internazionale: anche governi amici di Israele come l’Italia sono portati ad allinearsi agli Usa, come si è visto nella vicenda vergognosa emersa nei giorni scorsi del rifiuto italiano dell’ambasciatore designato da Israele, perché il designato è il sindaco della città di Maalé Adummim, fondata da Rabin ma posta quattro o cinque chilometri al di là della linea armistiziale del ‘49, e dunque qualificato come “colono”. La seconda ragione è l’ostilità ideologica delle organizzazioni internazionali, dall’Onu alle varie Commissioni e Corti che vi fanno riferimento: è un odio così indiscriminato da sembrare quasi ridicolo, ma certamente può far male. E solo gli Usa hanno modo di bloccarne gli sviluppi più pericolosi usando il diritto di veto al Consiglio di Sicurezza – un veto che Obama, nell’ultima decisione della sua amministrazione, si rifiutò di usare per lasciare un’eredità maligna contro Israele. Ora l’amministrazione attuale è piena di reduci di quella di Obama e potrebbe essere tentata di fare altrettanto. La terza ragione, la più stringente, è che dagli Usa vengono la maggior parte delle armi che usa l’esercito israeliano. Israele le ha pagate, ma nei contratti sono previsti poteri di veto e soprattutto c’è bisogno di un flusso continuo di pezzi di ricambio e munizioni che possono venire solo dagli Usa – o essere negati. Israele sta cercando di allestire urgentemente catene di produzione di bombe aeree e munizioni, ma certo mai potrà farlo per jet e elicotteri che sono essenziali alla guerra moderna. Di qui lo stallo.

    Rafah, pericoli e opportunità
    Il prossimo termine è ora il Ramadan, il mese islamico di digiuno diurno e di piaceri notturni che non esclude affatto le imprese belliche, anzi tradizionalmente vi è legato. Ora si aprono due strade. O Hamas cede alle condizioni fin troppo generose dei mediatori (sei settimane di tregua, quaranta rapiti liberati in cambio di dieci volte tanti terroristi condannati), che finora ha rifiutato e che Israele potrebbe accettare alla sue condizioni; o l’esercito israeliano entrerà dopo una lunga attesa a Rafah e nelle enclave centrali di Dir el Balah e Nusseirat, dove si trovano le ultime forze terroristiche organizzate militarmente, 4 battaglioni cioè circa 5000 uomini a Rafah e la metà nelle altre due località. Il problema di Rafah, terza città per popolazione della Striscia, è doppio: c’è il confine con l’Egitto che a nessun costo vuole accogliere dei profughi palestinesi, e vi si è rifugiata molta gente in fuga dalla guerra. Dunque Israele deve riuscire a sfollare queste persone senza farsi sfuggire i terroristi e senza far dilagare le folle in Egitto. In cambio, oltre alle truppe terroristiche vi sono probabilmente i capi come Sinwar e i rapiti usati come scudi umani. Qui vi è dunque la chiave della vittoria per Israele, ma anche il rischio di gravi perdite, soprattutto ai danni delle persone sequestrate.

    Come andrà il Ramadan?
    Che cosa accadrà dipende anche da come si svolgerà il Ramadan in Giudea, Samaria, nelle zone arabe di Israele e a Gerusalemme. È evidente che l’obiettivo di Hamas è quello di far scoppiare gravi disordini e atti terroristici, che finora sono stati evitati grazie alla vigilanza incessante delle forze israeliane e anche perché gli arabi israeliani sembrano preferire la quiete a una rivolta che sarebbe molto difficile anche per loro. Se la festa passerà senza gravi problemi di ordine pubblico, è probabile che Hamas rinunci alle sue pretese più estremiste e cerchi la tregua. Se vi saranno rivolte in Giudea e Samaria e a Gerusalemme, è probabile che la guerra si riaccenda a Gaza e anche al nord.

    CONDIVIDI SU: