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    Parashà di Yitrò: Rav Alessandro da Fano e la mitzvà di onorare i genitori

    La quinta mitzvà del decalogo è quella di onorare i genitori, come è scritto: “Onora tuo padre e tua madre” (Shemòt, 20:12).  Nella Torà vi sono 613 mitzvòt ed è nostro dovere osservarle tutte, anche se la Torà solo raramente ne spiega i motivi. Con tutto ciò il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nella Guida dei Perplessi (III, cap. 26, 31, 48) scrive che egli segue l’opinione di R. Shim’on bar Yochai che cercava di spiegare per quanto possibile i motivi delle mitzvòt.   

             L’autore catalano del Sefer Ha-Chinùkh (XIII sec. E.V.), elenca e da’ spiegazioni alle mitzvòt seguendo il sistema del Maimonide, e per la mitzvà di onorare i genitori scrive che bisogna onorare i genitori in riconoscenza per tutto quello che hanno fatto per noi.

             Questo concetto fu espresso in uno dei saggi del rabbino Alessandro Da Fano (Firenze, 1847-1935, Milano) che, dopo aver servito le comunità di Udine, Urbino, Reggio Emilia e Corfù, fu rabbino maggiore della comunità di Milano. Nella sua opera Pensieri Biblici Illustrati, pubblicata a Reggio Emilia nel 1887 egli scrisse: 

             “Pensate, figli miei, che dal momento della vostra nascita voi siete l’oggetto delle ansiose sollecitudini di ambedue i genitori; giorno e notte voi siete il soggetto dei loro pensieri, e voi siete la mèta a cui mirano costantemente i loro vicendevoli sforzi. Una madre cura e sorveglia sul suo pargoletto con la più tenera ansietà, lo alimenta col suo latte, si asside presso il suo letto durante il sonno, spende molte volte una notte di veglia in dolorosa ma paziente assistenza, quando esso è malato. 

             Quando i primi teneri anni dell’infanzia sono passati, e principia la fanciullezza, altre cure e molto più affannose incominciano. Deve intraprendersi la cultura della mente e del cuore; il difficile compito dell’educazione deve essere conseguito. E quindi, chi può dire i palpiti della madre? I timori di lei ed i dubbi sul successo dei propri sforzi, la sua appassionata speranza ed aspettazione; sia, se il suo amato figliuolo diverràtimorato di Dio, amante della verità come ella lo desidera, o se adempierà la splendida idea che si era formata di lui, quando ella lo vedeva debole ed innocente disteso sulle sue braccia? Chi può dire la pena che ella soffre ad una parola o ad uno sguardo scortese, ad una egoistica o non generosa azione, ad una falsa o ingannatrice norma di condotta? Chi può conoscere la sua gioja, quand’ella trova questo figlio gentile, buono, leale e virtuoso, tale insomma come il suo appassionato amore, sperava e raffigurava che doveva essere?

             Se alla madre è affidata la più immediata sorveglianza sul corpo, sulla mente e sull’intellettuale ben’essere dei suoi figli, il padre non ha meno la sua parte di cura per loro. Sovra di lui si dispiega il dovere di procurare i mezzi per effettuare quanto di sopra abbiamo menzionato; egli deve lavorare per il loro mantenimento e per la loro educazione. Egli spesso è obbligato a trovarsi fuori di buon mattino e a tarda sera, per caldo e pel freddo, per la neve e per la pioggia; spesso obbligato a procurare comodità e agiatezza alla sua casa, a portare ai figlio ciò che abbisognano, cibo, vestimenta, libri e comodi d’ogni specie. Per se stesso abbisognerebbe di poco, ma per i suoi figli ricerca molto, ed indefessamente e giocondamente lavora per loro così a lungo quanto gli bastano le forze […]. 

             Laonde, o figli, non è molto grande il debito che avete verso i vostri genitori? Non pensate che quanto voi dovete loro è quasi più di quanto possa ricompensarsi con una vita intiera d’amore, di gratitudine e d’obbedienza?” 

             Fin qui un estratto di uno scritto di cent’anni fa di un rabbino italiano che riassunse con il suo stile del Novecento il motivo della mitzvà di onorare i genitori.

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