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    Il 16 Ottobre e la bomba atomica

    Tra gli ebrei romani catturati il 16 ottobre, e gassati all’arrivo ad Auschwitz, vi sono tre nomi di persone anziane che forse si conoscevano, ma che a loro insaputa rimangono legati tra di loro per un’altra vicenda drammatica, quella della fabbricazione della prima bomba atomica. Sono Lionello Alatri, Augusto Capon e Amalia Treves in Segré. 

    Il progetto Manhattan fu la grandiosa operazione con la quale gli Stati Uniti d’America arrivarono a costruire i primi ordigni nucleari, due dei quali furono sganciati sul Giappone costringendolo alla resa e mettendo fine alla seconda guerra mondiale. A promuovere il progetto furono per primi dei fisici ebrei profughi dall’Ungheria, con l’appoggio di Einstein; convinsero molto lentamente il governo americano del rischio che la Germania nazista fabbricasse le bombe e che bisognava precederla; con il progredire del conflitto gli USA intensificarono le operazioni, concentrando nel massimo segreto il fior fiore degli scienziati di allora nel deserto del New Mexico, a Los Alamos. Un’altra ampia rete di scienziati e tecnici collaborò a distanza a varie fasi dell’operazione, spesso del tutto ignara della destinazione dei loro sforzi.

    In questa grande operazione ebbero un ruolo non indifferente tre italiani romani, fuggiti a causa delle leggi razziali e approdati negli Stati Uniti: Enrico Fermi, fisico, premio Nobel nel 1938, sposato all’ebrea Laura Capon; Emilio Segré fisico nucleare, che il Nobel l’avrebbe ricevuto negli anni ’50; Marco Giorgio Salvadori, geniale ingegnere. Fermi e Segré furono isolati a Los Alamos, insieme alle famiglie, e fu loro interdetto, come agli altri, qualsiasi contatto con l’esterno. Salvadori fu consultato e collaborò ad alcuni progetti specifici senza sapere la loro utilizzazione reale.  Ci fu anche un altro italiano a Los Alamos, l’astrofisico Bruno Rossi, ebreo veneziano, sfuggito alle leggi razziali; qui di seguito si parlerà dei tre romani.

    Il padre di Laura Capon era un ammiraglio di carriera deposto a causa delle leggi razziale, costretto su una seggiola a rotelle; rimaneva di simpatie fasciste (ha lasciato un diario) e conservava una lettera di lodi di a lui scritta da Mussolini. Avvisato per telefono dell’imminente arrivo dei tedeschi per catturarlo, mentre la sorella fece in tempo a scappare, lui si rifiutò di farlo, e quando bussarono alla porta mostrò la lettera del Duce, che fu assolutamente inutile. Arminio Wachsberger, preso anche lui nella retata e usato dai nazisti come interprete (cosa che gli permise di aiutare molte persone) raccontò a Enrico Fermi, durante un suo viaggio in Italia agli inizi degli anni ‘50, le circostanze della morte di Capon, sulla quale la famiglia sapeva ben poco.

    Emilio Segré racconta nelle sue memorie che nell’estate del 1944 a Los Alamos fu convocato da Julius Oppenheimer, che dirigeva i laboratori, e da lui ricevette la notizia della cattura della madre Amelia e del salvataggio del padre Giuseppe (che pochi mesi dopo sarebbe morto di malattia).  Evidentemente Segré aveva fatto chiedere notizie sulla famiglia quando l’esercito americano era arrivato a Roma ai primi di Giugno 1944. I Segré, suoi genitori, avevano abitato a Tivoli, dove i loro famigliari si erano insediati come imprenditori nella fabbricazione della carta, che Tivoli facilitava per la sua abbondanza di acque. Durante la guerra abitavano a Roma a Corso Vittorio. C’è una lettera indirizzata in Vaticano nella quale Giuseppe Segré all’arrivo dei nazisti a Roma chiese rifugio, che effettivamente ottenne molto rapidamente nel convento delle Oblate Agostiniane di S. Maria dei sette dolori in via Garibaldi; per rendere un’idea della situazione, che non era ancora quella dei fuggiaschi disperati, i Segré si portarono in convento una dama di compagnia e una domestica. Non si sa perché, probabilmente perché quel giorno era uscita dal nascondiglio, Amalia fu comunque catturata dai nazisti. Era nata a Firenze nel 1869. Una via a Tivoli ne ricorda il nome.

    La terza corrispondenza riguarda Marco Giorgio Salvadori, di padre non ebreo ma di madre ebrea, Ermelinda Alatri (di Marco e Elvira Cave), e sposato con Giuseppina Tagliacozzo (di Pio Sabatino e Laura Uzielli). Il nonno di Ermelinda era Samuele Alatri, mitica guida dell’ebraismo romano dell’ottocento.

    Ermelinda si salvò dalla razzia, ma non si salvò suo fratello Lionello, nato nel 1878, catturato il 16 ottobre insieme alla moglie Evelina Chimichi (anch’essa gassata all’arrivo); un’altra sorella di Ermelinda, Vittoria sposata Sacuto, fu catturata nel febbraio del 1944 a Firenze, deportata e uccisa ad Auschwitz.

    Gli intrecci della storia sono a volte incredibili. Qui i tre protagonisti italiani romani del progetto Manhattan  sono stati colpiti nei loro affetti più cari e vicini dalla razzia del 16 ottobre.

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