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    L’uomo che fece catturare Eichmann. Il racconto inedito di Bettina Stangneth, che ha scoperto la storia

    C’è una sorpresa nella storia di Adolf  Eichmann, il più noto fra i criminali nazisti responsabili della Shoah.  La sua vicenda, sviscerata nel processo di Gerusalemme del 1961 in cui fu condannato a morte, è stata approfondita anche dopo, in particolare dal libro fondamentale di Bettina Stangneth (“La verità del male – Eichmann prima di Gerusalemme” – Edizioni Luiss) di cui Shalom ha già parlato. E però non tutto era noto. Nei giorni scorsi è stata pubblicato dal giornale tedesco Süddeutsche Zeitung, proprio a firma di Bettina Stangneth e del suo collega Willi Winkler (e poi ripresa in Italia da La Repubblica e dal Post) una notizia significativa: la cattura di Eichmann è andata assai diversamente da come si credeva. 

     

    Si pensava finora che l’informazione sul nascondiglio di Eichmann fosse arrivata alle autorità israeliane per via di Lothar Hermann, un tedesco di origini in parte ebraiche emigrato in Argentina nel 1938, la cui figlia incontrò nel 1956 un ragazzo di nome Klaus Eichmann che si vantava delle gesta naziste di suo padre. Hermann allertò Fritz Bauer, procuratore generale dello stato dell’Assia nella Germania occidentale, che non si fidava delle autorità tedesche e avvertì quelle israeliane. Ora però è venuto fuori che ci fu un altro testimone decisiovo: Gerhard Klammer, un geologo tedesco antinazista che era stato compagno di lavoro di Eichmann in Argentina e ne aveva intuito l’identità. Klammer fece vari tentativi di denunciare il gerarca nazista alle autorità tedesche, senza risultato. Alla fine fu decisivo il consiglio di Gieselher Pohl, suo amico pastore protestante, che lo convinse a dare la notizia a un vescovo militare, sempre protestante, Hermann Kunst. Costui decise di farla sapere proprio al procuratore Bauer, molto impegnato contro i nazisti, il quale la passò ai servizi segreti israeliani. Fu questa la conferma definitiva per Ben Gurion, che decise la cattura del criminale.  Di questa nuova storia Shalom ha parlato con Bettina Stangneth, che l’ha scoperta. 

     

    Come ha ottenuto la notizia?

    “Dopo la morte di Klammer e di Pohl, le due famiglie sono rimaste amiche. Qualche anno fa  uno dei Pohl credette di riconoscere Klammer nella foto di gruppo con Eichmann pubblicata dallo Spiegel e chiese spiegazioni. Klammer era morto ma sua moglie, molto anziana al momento ma ancora lucida, raccontò la storia che aveva tenuta segreta per 60 anni. In famiglia non erano convinti e si rivolsero a me e a Winkler per verificare. All’inizio eravamo scettici anche noi, ma poi trovammo un buon numero di riscontri e decidemmo di pubblicare.”

     

    In Israele non conoscevano l’identità dell’informatore?

    “E’ sempre difficile dire che cosa sappiano i servizi segreti; ma sono convinta di no. Bauer voleva proteggere la sua fonte e diede al Mossad solo la parte della fotografia in cui si vedeva Eichmann, escludendo l’immagine di Klammer.”

     

    Perché è stata importante questa informazione? Il Mossad non sapeva già la storia da Lothar Hermann?

    “La doppia conferma è stata decisiva. Era un momento in cui molti ebrei che erano stati vittime dei nazisti credevano di riconoscerli in tanti luoghi, in particolare in Sudamerica, dove molti criminali erano scappati. Il fatto che Klammer non fosse ebreo e che confermasse in maniera del tutto indipendente il racconto di Hermann fu fondamentale per la decisione di fare una verifica in Argentina, che non era una cosa semplice allora, anche solo per i costi dell’operazione, e poi di procedere alla cattura.”

    (Giselher Pohl davanti alla sua casa di Unna tra il 1957 e il 1958. Per gentile concessione del Sueddeutsche Zeitung)


    Cosa cambia questa storia nell’immagine di Eichmann? Lei ha dimostrato che non era affatto un uomo “banale” e che si comportò con grande astuzia nella sua fuga.

    “Sì, questo è vero. Ma i nazisti erano anche arroganti e razzisti, si sentivano forti e disprezzavano gli ebrei. Eichmann da un lato sapeva di dover cancellare le sue tracce e lo fece con cura. Dall’altro non sopportava di perdere la sua fama, sognava di tornare in Germania come un eroe. L’azienda di costruzioni dove lavorava era un posto pieno di nazisti e lui presumeva che tutti gli emigrati tedeschi lo fossero; non resisteva alla tentazione di svelarsi e di vantarsi.”

     

    Quel che colpisce è la diffidenza di tutti verso la giustizia tedesca. Perché mai i giudici della Repubblica Federale non volevano processare un criminale come Eichmann?

    “Bisogna pensare che la magistratura, come tutti gli apparati dello Stato, in quel momento era piena di ex nazisti. E che Eichmann era stato un personaggio pubblico, molto noto all’interno dell’alta amministrazione,  il punto di riferimento per tutti i ministeri sul progetto di “soluzione finale”. Molti funzionari e giudici di un certo livello lo avevano conosciuto, magari in qualche riunione, e potevano pensare che lui si ricordasse di loro e potesse denunciarli come complici. Eichmann non l’avrebbe fatto mai, perché restava nazista e conservava un forte senso di appartenenza alla Germania e di odio per gli ebrei. Ma la paura restava e in tanti preferivano che stesse alla larga.”

     

    C’è qualcosa di importante che questa nuova storia ci può insegnare?

    “Sì, una verità importante ne esce. La trasmissione della notizia su Eichmann coinvolge quattro uomini molto diversi fra loro: un geologo di buona fama accademica che emigra per trovare lavoro; un pastore che vive in Germania; un vescovo militare protestante di idee conservative; un pubblico ministero che invece è progressista. Tutti e quattro non fanno la cosa più comoda, quella che la società del tempo si attende da loro, cioè starsene zitti e ignorare una notizia imbarazzante. Tutti e quattro decidono di agire contro il crimine, di denunciare, anche superando barriere ideologiche consistenti come quelle fra il vescovo e il pubblico ministero. Questo ci dice che esiste la libertà e la responsabilità di fare ciò che è giusto, che l’ambiente non è determinante per chi ha la lucidità e la rettezza morale per agire secondo coscienza”

     


    Foto copertina: (Gerhard Klammer in Argentina quando incontrò Eichmann nel 1951. Per gentile concessione del Sueddeutsche Zeitung)

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