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    Mondo

    Antiterrorismo, in New South Wales stop agli slogan violenti e nuove regole su armi e proteste

    Il Parlamento del New South Wales è stato richiamato d’urgenza per discutere un pacchetto di riforme antiterrorismo dopo l’attacco di Bondi Beach. Le misure, presentate dal premier Chris Minns, puntano a rafforzare la sicurezza pubblica intervenendo su tre fronti: contrasto all’incitamento alla violenza nelle manifestazioni, stretta sulla detenzione di armi da fuoco ed estensione dei poteri di intervento delle forze dell’ordine.
    Tra i provvedimenti più discussi figura il divieto di scandire lo slogan “globalise the intifada” durante le proteste. Minns ha difeso la scelta sostenendo che l’espressione, nata nel contesto delle rivolte palestinesi contro Israele, rappresenta oggi un appello alla violenza che travalica il Medio Oriente e rischia di alimentare divisioni e disordini anche in Australia. “Alcune misure potranno sembrare eccessive – ha ammesso – ma sono necessarie per garantire la sicurezza”.
    Il disegno di legge amplia inoltre l’autorità della polizia sulle manifestazioni: potranno essere limitate o vietate nei pressi dei luoghi di culto, con sanzioni più severe in caso di violazioni. Un ulteriore dispositivo consente di proibire proteste fino a tre mesi dopo un attentato terroristico. Sul fronte delle armi, la riforma prevede un tetto di quattro armi per la maggior parte dei titolari di licenza, con deroghe fino a dieci per agricoltori e tiratori sportivi. Il rinnovo della licenza scenderebbe da cinque a due anni e alcune tipologie di armi sarebbero sottoposte a revisione. Uno degli attentatori di Bondi, Sajid Akram, deteneva legalmente sei armi.
    Le reazioni sono contrastanti. Il presidente del NSW Council for Civil Liberties, Timothy Roberts, ha parlato di un arretramento dei diritti democratici, in contrasto – a suo dire – con una recente pronuncia della Corte suprema statale sulla libertà di protesta. Critiche anche dal fronte pro-armi: Mark Banasiak, dello Shooters, Fishers and Farmers Party, sostiene che le norme colpiscano i possessori responsabili senza affrontare le fratture sociali più ampie. Di segno opposto il giudizio di Walter Mikac, sopravvissuto alla strage di Port Arthur del 1996, che vede nelle riforme un rafforzamento necessario delle tutele per la comunità. Sostegno netto arriva invece dalla comunità ebraica: David Ossip, presidente del NSW Jewish Board of Deputies, ha definito il bando degli slogan e i controlli sulle proteste “un passo importante contro l’odio”, ribadendo che il diritto di manifestare non può includere minacce mascherate o simboli di violenza.
    Il clima di allerta si riflette anche sul piano diplomatico. Il primo ministro australiano Anthony Albanese ha sentito telefonicamente il presidente dello Stato d’Israele Isaac Herzog, esprimendo “shock e profondo dolore” per l’attacco terroristico che ha colpito la comunità ebraica a Sydney. Herzog ha sottolineato l’urgenza di “tutte le misure legali necessarie” contro l’impennata di antisemitismo, estremismo e terrorismo jihadista. Albanese ha inoltre annunciato che, su raccomandazione del governo e secondo protocollo, il Governatore Generale inviterà Herzog a visitare l’Australia quanto prima: un segnale politico che accompagna la svolta antiterrorismo decisa a Sydney.

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