
In Iran si registra un preoccupante aumento di pressioni, intimidazioni e arresti nei confronti della comunità ebraica locale, a seguito dell’operazione israeliana “Rising Lion”. Secondo fonti raccolte da Iran International, nelle ultime settimane le forze di sicurezza del regime avrebbero condotto raid nelle abitazioni di numerose famiglie ebraiche a Teheran, Shiraz e Isfahan, confiscando telefoni, computer e altri dispositivi elettronici. Diversi cittadini sarebbero stati arrestati o trattenuti per giorni con l’accusa di avere contatti digitali con parenti in Israele o per aver compiuto viaggi precedenti nello Stato ebraico – accuse considerate particolarmente gravi secondo la legislazione iraniana.
Fonti interne alla comunità parlano di un “clima di paura”, con interi nuclei familiari portati via per essere interrogati. Non è noto il numero esatto dei detenuti, ma i nomi di decine di persone starebbero già circolando online e tra gli attivisti per i diritti civili. La popolazione ebraica in Iran è oggi stimata intorno ai 10.000 individui, un netto calo rispetto agli oltre 80.000 presenti prima della Rivoluzione Islamica del 1979. Le principali comunità risiedono proprio nelle città maggiormente colpite dalle recenti perquisizioni.
In una dichiarazione ufficiale, il rappresentante della comunità ebraica nel Parlamento iraniano, Dr. Younes Hamami Lalehzar, ha confermato che i bombardamenti aerei hanno causato “gravi difficoltà” alla popolazione ebraica, citando danni materiali ad abitazioni e strutture comunitarie. Tuttavia, ha ribadito la fedeltà della comunità al regime e ha condannato apertamente Israele e Stati Uniti. Dello stesso tenore le parole del Rabbino Capo dell’Iran, Yehuda Gerami, che ha dichiarato: «Noi, ebrei iraniani, consideriamo questo Paese la nostra patria e sosteniamo il regime islamico». Ma dietro queste dichiarazioni — spesso rilasciate sotto forti pressioni — si cela una realtà molto diversa. Centinaia di persone, tra cui molti ebrei, sono stati arrestati dal regime. Secondo l’Association Femme Azadi, organizzazione in esilio che monitora le violazioni dei diritti civili in Iran, sono almeno 700 le persone sospettate di legami con Israele dall’inizio dell’operazione “Rising Lion”, tra cui diversi rabbini e leader religiosi ebrei a Teheran e Shiraz.
Secondo l’emittente israeliana KAN, almeno sei persone sarebbero state giustiziate nelle ultime settimane con l’accusa di collaborare con il Mossad. Il numero complessivo di esecuzioni per presunte attività di spionaggio nel 2025 salirebbe così a nove. In questo clima di crescente repressione, si è svolta giovedì a Teheran una cerimonia pubblica di sostegno al regime, organizzata ufficialmente dalla comunità ebraica. L’evento ha visto la partecipazione di soldati ebrei dell’esercito iraniano in uniforme e con la kippà, ed è stato descritto dai media statali come una celebrazione della “risposta decisiva” dell’Iran ai raid israeliani. Il Dr. Homayoun Sameyah Najafabadi, altro rappresentante ebraico nelle istituzioni, ha riferito che diversi edifici comunitari sono stati danneggiati durante gli attacchi.
Tuttavia, secondo numerosi osservatori internazionali, la manifestazione appare come un’iniziativa orchestrata dal regime per mascherare le gravi violazioni dei diritti umani in atto. La minoranza ebraica iraniana si trova oggi più che mai sotto assedio, costretta tra le dichiarazioni di lealtà imposte al regime e il sospetto permanente di essere una “quinta colonna” di Israele.