
Gli incontri
L’evento più significativo per l’intero Medio Oriente negli ultimi giorni è stata la visita del presidente americano Trump che ha toccato l’Arabia Saudita (13-14 maggio), il Qatar (14 maggio) e gli Emirati Arabi Uniti (15 maggio), ma non Israele (né l’Egitto, la Giordania e altri alleati storici). Oltre che con i governanti di dei paesi ospiti (il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, l’emiro del Qatar Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani e il principe ereditario di Abu Dhabi Sheikh Mohammed bin Zayed Al Nahyan), Trump ha parlato il 14 maggio a Riad,con il leader siriano Ahmed al-Sharaa detto Joulani e in videoconferenza con Erdogan. Era previsto anche un incontro con il leader dell’Olp Mohammed Abbas, di cui però non si è avuta conferma.
Gli accordi evitati e quelli conclusi
Questa assenza dell’Olp dal calendario degli incontri è particolarmente significativa, perché alla vigilia del viaggio presidenziale si era diffusa l’ipotesi che Trump intendesse riconoscere unilateralmente uno stato palestinese, contraddicendo tutta la politica sua e delle amministrazioni americane precedenti e suscitando forti timori in Israele. Ciò non è avvenuto. Altri due temi che preoccupavano Israele erano stati presentati come oggetto delle trattative con l’Arabia: innanzitutto l’assenso alla realizzazione del suo progetto nucleare (civile, ma come sempre in questi casi, potenzialmente trasformabile in militare), senza che fosse concessa in cambio la normalizzazione con Israele; e poi un piano condiviso per la pacificazione di Gaza che escludesse il controllo israeliano. Per quel che se ne sa essi non sono stati trattati o almeno non se ne è avuto notizia. Altri temi critici sono stati invece portati a termine: innanzitutto una vendita senza precedenti di armi all’Arabia (ma sembra senza gli F35, negati anche alla Turchia, cioè senza intaccare la superiorità strategica dell’aviazione israeliana) e la rimozione delle sanzioni alla Siria, che in cambio si sarebbe impegnata a non prestarsi ad attacchi a Israele, a rispettare le minoranze (alawiti e drusi che sono stati perseguitati duramente dal nuovo regime) e ad aderire agli accordi di Abramo, “appena consolidato il potere” (così ha dichiarato Trump).
Le ragioni del viaggio
Il viaggio era dedicato soprattutto ai temi economici, che stanno molto a cuore a Trump. Molti ironizzano su questa concezione “affaristica” dei rapporti internazionali, e accusano spesso a torto o a ragione il presidente di interesse personale. Ma essi non si rendono conto che Trump è stato eletto presidente (degli Usa, non di Israele o dell’Europa) per rimettere a posto una situazione economica che preoccupa moltissimo i suoi elettori: la deindistrializzazione e la burocratizzazione degli States, il debito pubblico gonfiato a dismisura, il controllo cinese su risorse essenziali. Il piano di Trump è di raddrizzare questa deriva nel giro di alcuni anni, anche a costo di peggiorare il disequilibrio a breve, come sta accadendo. I dazi servono a questo, a riportare il lavoro in America e anche i contratti di molte centinaia di miliardi di euro che il presidente ha ottenuto in questo viaggio vanno nella stessa direzione. Il che non significa che la strategia politica non gli interessi, o che non intenda proteggere Israele; ma che la sua priorità sono i problemi economici americani. Inoltre Trump è sincero nella sua volontà di evitare le guerre o di concluderle, se sono in corso, è davvero un pacifista; ma in maniera estremamente realistica, non ignorando i rapporti di forza e gli obiettivi di potenza.
I negoziati
Questo vale per le due trattative aperte che riguardano il Medio Oriente: quella con Hamas e quella con l’Iran. In entrambi i casi Trump non ha scrupoli a parlare con quelli che considera nemici e anche a fare scambi con loro. È così che ha ottenuto da Hamas la liberazione dell’ultimo rapito americano ancora in vita Edan Alexander (che è anche il primo soldato di Israele rapito il 7 ottobre e rilasciato da Hamas). Ma ora i terroristi si lamentano di non aver ricevuto in cambio né rifornimenti né concessioni sul futuro di Gaza (e infatti la trattativa è ferma a causa della loro pregiudiziale inaccettabile per Israele di una fine della guerra senza resa né consegna delle armi). E anche l’altra trattativa, quella sul nucleare iraniano, è ferma, perché tra molte voci contraddittorie, è chiaro che gli ayatollah non intendono disarmare, cedere il loro uranio e le loro centrifughe, impegnarsi a non aggredire gli altri paesi, il che naturalmente è assai lontano dalle loro intenzioni.
La distruzione del vertice di Hamas a Gaza
Vedremo presto se alla conclusione del viaggio alcuni di questi risultati saranno cambiati o addirittura rovesciati: Trump è maestro nell’arte della comunicazione, almeno se la si intende come tener fissa su di sé l’attenzione dei media e del pubblico. Intanto bisogna dire che non ha avuto obiezioni di fronte al “tentativo” (probabilmente riuscito, ma finché non ci sono le prove materiali bisogna dire così) dell’aeronautica israeliana di eliminare l’attuale capo di Hamas a Gaza, Mohammed Sinwar, il fratello minore di Yahya Sinwar e degli altri comandanti terroristi che gli stavano vicino. Se è riuscito come sembra, questo è un colpo importante che decapita di nuovo l’organizzazione terroristica. Bisogna dire anche che Sinwar e gli altri si nascondevano, tanto per cambiare, in un tunnel scavato sotto un ospedale di Khan Yunis, cioè cercavano di usare pazienti e malati come scudi umani. Tutti coloro che continuano a parlare di crimini umanitari di Israele a Gaza non tengono minimamente conto che innanzitutto questo uso di ospedali, scuole, moschee ecc. è tecnicamente un crimine di guerra.
La prossima operazione di terra
Per quel che ne sappiamo Trump non ha fatto neppure obiezioni all’operazione “Carri di Gedeone” che dovrebbe iniziare subito dopo la sua partenza dal Medio Oriente. Si tratta finalmente della presa di tutta di Gaza usando le forze di terra: un’operazione che coinvolge decine di migliaia di soldati ed è concepita per distruggere sistematicamente e definitivamente le infrastrutture e le truppe di Hamas, lasciando alla popolazione civile scampo in una zona di sicurezza al confine dell’Egitto, dove saranno anche forniti i rifornimenti alimentari in modo che i terroristi non possano impadronirsene. Se sarà possibile condurla fino in fondo, questa sarà davvero la liquidazione dei gruppi terroristici a Gaza. Per ora le cronache parlano di un’intensificazione delle operazione preliminari come i bombardamenti sulle fortificazioni sotterranee individuate.