
Doveva essere una tranquilla visita nella città che “non dorme mai”. Si è invece trasformata in un incubo. Rami Glickstein, 59 anni, docente universitario israeliano in vacanza negli Stati Uniti, è stato vittima di una violenta aggressione a sfondo antisemita nel cuore di Manhattan. È accaduto in pieno giorno, su un marciapiede affollato. L’uomo stava camminando verso un ristorante kasher quando uno sconosciuto lo ha fermato, chiedendogli con tono sospetto quale fosse la sua religione. Prima ancora che potesse rispondere, l’aggressore gli ha strappato la kippah dal capo, l’ha gettata a terra e ci ha sputato sopra.
Poi, il colpo: un pugno al volto così violento da fargli perdere l’equilibrio e cadere sull’asfalto. Trasportato d’urgenza in ospedale, i medici hanno riscontrato un’emorragia cerebrale interna e contusioni facciali. Ora è in fase di recupero, sotto osservazione, ma lo shock resta profondo.
Nonostante le ferite, Glickstein ha parlato alla stampa con lucidità. “Non ho paura per me. Ho paura per il mio popolo. Quello che ho vissuto qui è terribile sembra il 1939”. Nel frattempo, la polizia di New York ha aperto un’indagine per crimine d’odio. Gli investigatori stanno cercando l’aggressore attraverso testimonianze e telecamere di sicurezza della zona. Le autorità cittadine e i rappresentanti della comunità ebraica hanno condannato fermamente l’episodio, sottolineando l’aumento di atti antisemiti negli ultimi mesi.
L’aggressione di Manhattan non è un caso isolato. Episodi simili vengono segnalati sempre più spesso nelle grandi città occidentali, alimentando timori e tensioni. Per molti, quanto accaduto a Glickstein è un amaro campanello d’allarme: l’antisemitismo, lungi dall’essere un capitolo superato della storia, continua a serpeggiare e talvolta esplode in violenza improvvisa.













