La ricorrenza del 4 novembre riporta alla memoria la data della Vittoria nella Prima guerra mondiale; nondimeno, quest’anno tale festività civile acquista un significato ancora più profondo, coincidendo con il centenario della sepoltura del Milite ignoto al centro dell’Altare della Patria. Del soldato sconosciuto non si sa nulla: non se ne conoscono le sembianze fisiche, l’età, il reparto, la provenienza geografica, l’opinione politica e neppure la religione. Proprio per questo motivo egli potrebbe essere ebreo, come quei circa 5.500 soldati correligionari in grigioverde.
Non a caso gli italiani ebrei meritarono oltre 1.000 decorazioni, più che rappresentative per una comunità, che allora contava circa 35.000 elementi. Tra tutti questi, meritevoli di medaglie e riconoscimenti al valore, era presente anche il generale Emanuele Pugliese, considerato all’epoca tra i soldati più decorati d’Italia.
Nato a Vercelli l’11 aprile 1874, Pugliese aveva abbracciato la vita militare a diciassette anni. Nominato ufficiale di fanteria, proseguì la carriera, dimostrando ingegno e dirittura morale. Ancor prima della sua partecipazione alla guerra di Libia, egli venne decorato di una medaglia d’argento al valor militare. Nel deserto nordafricano e nel Dodecaneso fu particolarmente attivo, confermando le proprie doti di coraggio e di comando.
I successi bellici del capitano Pugliese ebbero eco anche in Italia, tanto che il 7 giugno 1914 la rivista «Il Vessillo Israelitico» volle offrirgli pubblicamente una spada d’onore. Arrivò poi la Grande Guerra e ancora una volta egli ebbe modo di confermare il proprio alto senso del dovere e di patriottismo: promosso maggiore, comandò un battaglione del 151° reggimento della brigata Sassari, tra i più valorosi della fanteria italiana. Nel luglio 1916 sul monte Zebio, nonostante fosse ferito al braccio e al collo da schegge di granata, Pugliese continuò a dirigere i propri uomini. Fu così che ottenne una nuova medaglia d’argento al valor militare e la proposta di avanzamento per merito di guerra. Dopo un periodo di convalescenza, ormai tenente colonnello, venne incaricato di un comando per il grado superiore e posto al vertice di un reggimento di fanteria. Promosso quindi colonnello, venne poco dopo incaricato di un altro ruolo superiore: comandò quindi una brigata, alla cui testa sulla Bainsizza ebbe la promozione a generale. Con quest’incarico, in occasione della ritirata di Caporetto, fu lodevole il modo in cui portò i suoi reparti dall’Isonzo al Piave. Venne quindi designato al comando di una divisione, ruolo che gli fruttò la nomina a ufficiale dell’ordine militare di Savoia e la concessione di due croci al merito di guerra (di cui una francese), dopo aver partecipato anche all’ultima battaglia di Vittorio Veneto.
Chiusa anche questa esperienza bellica, egli proseguì con altri incarichi, meritando la nomina a commendatore dell’ordine militare di Savoia. Passò quindi a comandare la divisione territoriale di Roma, trovandosi il 28 ottobre 1922 a dover tener testa al continuo afflusso di fascisti, intenzionati a prendere a qualunque costo il potere centrale. Pugliese, per nulla intimidito dall’arroganza fascista, permise l’afflusso in città delle camice nere, solo dopo che il re chiamò Mussolini, per formare il Governo.
Nonostante fosse divenuto inviso ai nuovi inquilini dei palazzi del potere, Pugliese proseguì la propria carriera, fino alla promozione a generale di corpo d’armata nel 1934. Posto in congedo nel 1937, venne colpito l’anno dopo dalle inique leggi razziali, che lo espulsero dalla meritata posizione ausiliaria e dalla partecipazione agli istituti combattentistici. Iniziò per lui un lungo calvario, tra mille tribolazioni e patimenti. Il suo amor proprio, tuttavia, fu sempre più forte delle avversità, chiedendo con insistenza di poter essere ancora utile alla Patria. Questo suo istinto lo portò dopo la liberazione di Roma a voler aderire alla causa degli Alleati. Ormai vecchio e segnato dalle antiche ferite di guerra, mostrò un ultimo sussulto di combattività, quando nel secondo dopoguerra pubblicò due libri, in cui riaffermò il proprio comportamento irreprensibile, durante le controverse ore della Marcia su Roma. Nel frattempo, decorato anche del cavalierato di gran croce dell’ordine della Repubblica, si spense il 27 settembre 1967 in quella stessa città, che aveva difeso dai fascisti quarantacinque anni prima.
Giovanni Cecini è laureato in Scienze politiche e in Storia contemporanea. Docente all’Università Niccolò Cusano di Roma, è esperto di storia politica, diplomatica e militare. È autore di diciassette monografie, di un centinaio tra articoli e saggi ed è titolare dell’omonimo canale YouTube.