Dodici sono gli ebrei uccisi in Francia perché ebrei dal 2003 al 2018. Sapere l’elenco dei loro nomi, aver vissuto momenti di angoscia e di lutto, aver conosciuto, fosse indirettamente, uno o una di loro rende difficile un approccio storico e non emotivo alla questione dell’antisemitismo in Francia. Si parte da un’esperienza, da un’infinita tristezza, da una forte preoccupazione. Mi sembra che l’approccio storico ci voglia però, per capire meglio com’è possibile che questo succeda in Francia, la cosiddetta patria dei diritti dell’uomo, la culla dell’emancipazione degli ebrei, il paese dove vive la più grande comunità ebraica al mondo dopo Israele e gli Stati Uniti. Un paese in cui una forte proporzione (c’è chi dice addirittura la metà) degli atti razzisti censiti riguarda gli ebrei, ossia neanche l’1% della popolazione.
Andiamo per tappe, ovviamente in maniera veloce e dunque alquanto schematica.
Agli ebrei di Francia, negli anni 1790-1791, la Rivoluzione portò l’emancipazione, la cittadinanza e l’uguaglianza. Da allora si sviluppò in Francia un valore particolare, determinante per quel che qui interessa: la laicità. Un valore forte e protettivo, che stabilisce la separazione tra stato e religioni, l’uguaglianza delle religioni, la libertà di coscienza (in Francia non vedrete un crocefisso appeso in tribunale o in archivio). Ma un valore che si traduce anche, in alcuni casi, con una certa insofferenza nei confronti della religione e della religiosità. In Francia, è vietato andare a scuola pubblica con la kippà in testa (e con il velo islamico, e con una croce “grande”); non c’è nessuna garanzia per un ebreo che vorrebbe non lavorare durante lo Shabbat e le feste. L’accezione sempre più stretta della laicità rende più fragili le minoranze religiose, soprattutto se segnate da un’osservanza con molti risvolti pratici – come la minoranza ebraica.
La Francia, paese della Rivoluzione, è anche una nazione in cui esiste una forte corrente antisemita di estrema destra. Basta evocare l’affare Dreyfus, aperto con l’accusa di tradimento ingiustamente rivolta ad un soldato ebreo francese nel 1894, che divise il paese profondamente e per decenni. Si chiuse con la vittoria della verità, ma rimane una forte corrente, ininterrotta, antisemita, di ispirazione cristiana, reazionaria, monarchica. Con Vichy e il governo collaborazionista (1940-1944), vinse. Con Jean-Marie Le Pen (sua figlia Marine prende di mira i musulmani piuttosto), fu minacciosa e rimase nell’aria per decenni, ma non vinse mai. Questa corrente si fa ancora sentire oggi, con le sue asserzioni negazioniste, le sue pubblicazioni scandalose, le sue manifestazioni deliranti; sembra inoltre che non poche minacce, insulti e aggressioni (come le numerose depredazioni di cimiteri ebraici) provengano da quel mondo, ancora non scomparso.
Minacce, insulti e aggressioni. Ma omicidi no. I dodici ebrei di cui scrivevo non sono stati uccisi da nostalgici di Pétain o da neonazisti ma da delinquenti antisemiti o da terroristi jihadisti. Un misto di ostilità, di competizione e di gelosia risalente ai tempi della convivenza nell’Africa del Nord, un diffuso senso di solidarietà con i palestinesi (che permette la trasposizione in Francia del conflitto israelo-palestinese) e una certa permeabilità ai più distruttivi temi del jihad mondiale costituisce in Francia un contesto antisemitico particolare. Certo, sporadicamente si osservano delle alleanze contro natura tra ideologi di estrema destra e antisemiti che hanno alle spalle una tutt’altra cultura (penso alla coppia costituita da Alain Soral e Dieudonné) o tra difensori della laicità repubblicana e militanti aggressivi nei confronti della popolazione ebraica (si guardi alle recenti e agghiaccianti dichiarazioni complottiste in Francia da parte di esponenti della sinistra radicale). Ma, al di là di queste alleanze sporadiche, il pericolo più preoccupante per gli ebrei di Francia non proviene dalla vecchia corrente antisemita. E quel pericolo è preoccupante per quei motivi storici propri alla Francia. Sembra che la società e gli uomini politici lo abbiano per lo più capito. Ma questo non vuol dire che tutti gli individui possano sempre essere protetti. Scrivendo questo articolo ho notato che sono passati ben tre anni dall’assassinio di Mireille Knoll. Staremo a vedere.