Il primo giorno del mese di Tishrì, ricorre la festa di Rosh Ha Shanà, il Capodanno ebraico che ricorda la creazione dell’uomo. Un giorno di gioia e serenità, che suggerisce una suggestione particolare per tutti gli ebrei. È uso, la prima sera, consumare un pasto – il Seder – in cui, in ordine prestabilito, si mangiano determinate prelibatezze beneauguranti l’anno “dolce come il miele” che verrà. La Torah chiama questa festa anche Yom Teruàh- il giorno del suono, in riferimento a quello emesso dallo Shofar, un corno di montone dalla funzione musicale adoperato appositamente per l’occasione.
Rav Alberto Funaro, Manhig presso il Tempio Maggiore di Roma, ha spiegato a Shalom la storia e le caratteristiche di questo antico strumento.
“Lo shofar è un piccolo corno di montone adoperato come strumento musicale, attualmente utilizzato per Rosh Ha Shanà e Kippur, ma non solo: anche per annunciare la luna nuova e proclamare l’anno del giubileo. In antichità, veniva usato inoltre durante altre cerimonie religiose e, più spesso, come segnale di battaglia in guerra, così scritto nella Torah:” Quando nel vostro paese andrete in guerra contro il nemico che vi attaccherà, suonerete le trombe con questa esclamazione e verrete ricordati davanti al Signore D-o vostro e sarete liberati dai vostri nemici”.
Lo Shofar serviva, infatti, per avvertire gli abitanti delle città della venuta del nemico. Allo stesso modo, nel giorno di Rosh Ha Shanà, ha il compito di richiamare ciascun ebreo a salvare la propria anima, attraverso il pentimento e le buone azioni. Ecco perché “Rosh Ha Shanà è detta anche Yom Ha Dìn, il giorno del giudizio, perché D-o giudica gli esseri umani. È nostro compito fare un’introspezione – Teshuvà – per tornare al punto di partenza: è come se, andando in un certo posto, io abbia sbagliato strada… con la Teshuvà posso tornare indietro per intraprendere quella giusta”. Il suonarlo è una “Ghezerat Ha-Katuv”: un’azione imposta dalla Torah senza approfondirne i motivi. Secondo il maestro Maimonide, simboleggia un richiamo al pentimento ed il monito ad abbandonare tutti gli atteggiamenti scorretti.
Tale strumento viene suonato come una tromba, applicando le labbra al foro d’entrata e facendo vibrare il corpo. Al riguardo, esistono diverse usanze riguardo la posizione in cui disporre la bocca: al centro, a sinistra o a destra, che è la più auspicabile a livello halakhico. Non tutti i suoni emessi dallo Shofar sono uguali, infatti “ne esistono tre tipi: Techià, Shevarìm e Teruah. La prima è la suonata liscia, piana e profonda, che poi viene improvvisamente interrotta. Shevarìm – dall’ebraico Shever, ‘spezzare’ – è quella spezzata, mentre la terza è quella rumorosa ed acuta, un trillo tra due Techiòt”.
Più precisamente, il corno utilizzato può essere quello di un qualsiasi animale Kasher, tranne che della mucca e del vitello, perché ricordano l’episodio del vitello d’oro. Dev’essere “integro e senza crepe, poiché lo renderebbero inadatto. Non può essere dipinto, ma solo cesellato artisticamente”. La persona incaricata di suonare lo Shofar è detta Tokèa, un esperto “idoneo dal punto di vista religioso ed halakhico, che deve avere anche qualità morali per rappresentare il pubblico, perché ha il compito di farlo uscire d’obbligo. Esperto, ma anche degno dell’incarico”.
La festa di Rosh Ha Shanà ed il suono dello Shofar scuotono l’animo dell’essere umano, richiamano ad una spiritualità talvolta nascosta, che rinasce tra le note emesse dal corno di montone. L’anima pare elevarsi e raccogliersi assieme alle altre intorno ad un vibrato d’aria talmente solenne da far chinare la testa ai presenti, che chiudono gli occhi per concentrarsi nel sentirlo. Per gli ebrei romani “lo shofar è un qualcosa, come diceva il mio maestro, di magico. Un momento in cui vengono scossi interiormente. Quando suona lo shofar, il tempio si riempie. C’è una frase dei profeti che dice ‘ma se suona lo shofar in città, pensi che il popolo non si scuota dal tremore?’ Per gli ebrei romani ha un’importanza come poche altre. Fa vibrare dentro di noi delle emozioni”.
Per Rav Alberto Funaro, suonare lo Shofar è “una grande responsabilità, in cui si sente il peso di tutta la comunità addosso. Un’emozione talmente forte che a volte si rischia di rimanere senza fiato”.