Dopo aver conquistato i territori in Transgiordania, i capi delle tribù di Gad e Reuvèn, tribù ricche di bestiame, si rivolsero a Moshè e ad El’azar chiedendo di ricevere quelle terre in retaggio perché adatte al pascolo. La richiesta creò una forte reazione da parte di Moshè: “I vostri fratelli andranno a combattere e voi rimarrete qui? (Bemidbàr, 32:6). I capi delle tribù risposero che avrebbero costruito recinti per il bestiame e città per la figliolanza e si sarebbero armati per andare a combattere con l’esercito d’Israele e non sarebbero tornati alle loro città fino a quando la terra di Cana’an, non fosse stata presa in possesso dalla altre dieci tribù (ibid., 16-19).
Moshè sapeva che non avrebbe potuto passare il fiume Giordano ed entrare nella Terra Promessa per decreto divino. Pertanto per assicurare che la promessa delle due tribù sarebbe stata rispettata, egli fece con loro un contratto: “Moshè diede ordini riguardo a loro ad El’azar il kohen e a Yehoshua’ figlio di Nun e ai capi delle case paterne delle tribù dei figli d’Israele. Moshè disse loro: Se i figli di Gad e i figli di Reuvèn passeranno con voi il Giordano, ogni armato per la guerra davanti all’Eterno e il paese verrà conquistato da voi, darete loro il territorio del Gil’ad a loro come retaggio. Ma se non passeranno armati con voi essi prenderanno possesso insieme a voi nella terra di Cana’an” (ibid., 28-30). Le tribù di Gad e Reuvèn accettarono le condizioni del contratto.
R. Shimshon Rafael Hirsch (Amburgo, 1808-1888, Francoforte) osserva che questo contratto “è il classico esempio di giurisprudenza ebraica di un atto che avrà effetto a una condizione”. R. Hirsch aggiunge che questo tipo di contratto viene citato nel Talmud babilonese in vari trattati (Kiddushìn 61a, Ghittìn 75a e 75b e Kettubòt 74a) dove i maestri affermano “che per essere valido un contratto a condizione deve avere le stesse caratteristiche di quello fatto con le tribù di Gad e Reuvèn”.
R. Isaac Herzog (Polonia, 1888-1959, Gerusalamme ), che fu il primo rabbino capo dello stato d’Israele, nella sua opera The Main Institutions of Jewish Law (Volume 2, cap. XVI) pubblicata nel 1938, scrive che dal testo della Torà i maestri hanno derivato le quattro fondamentali leggi delle condizioni:
1. “Tenài kafùl”. La condizione dev’essere doppia, cioè deve essere espressa sia in forma positiva che negativa come appunto scritto nella Torà: se avessero passato il Giordano avrebbero avuto la terra; se non l’avessero passato non l’avrebbero avuta.
2. “Hen kodèm lelav”. La parte positiva deve precedere la parte negativa. Cioè prima “se farete” e poi “se non farete”.
3. “Tenai kodèm le-ma’asè”. La condizione deve precedere l’atto.
4. “Tenài she-efshàr lekayemò”. La condizione può essere adempiuta. Se per esempio un uomo dà a una donna un anello di fronte a testimoni validi e le dice con la formula che lo sposo usa dire sotto lachuppà: “Tu sei sposata (mekudèshet) a me con questo anello sulla base delle legge di Moshè e d’Israele” e aggiunge “a condizione che tu attraversi il mare a piedi”, la condizione non ha alcuna validità. In questi casi l’atto è valido anche se la condizione non viene adempiuta.
Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel Mishnè Torà (Ishùt, 6:1) insiste che quando viene imposta una condizione, la condizione dev’essere doppia in tutti i casi: matrimoni, divorzi, compravendite e altri contratti commerciali. R. Herzog nota però che la maggioranza dei decisori segue l’opinione dei Gheonìmdella Babilonia che la condizione doppia è necessaria solo nei matrimoni e nei divorzi per via della loro superiore importanza.