È interessante notare come non solo la prima parte della parashà sia dedicata al racconto della ribellione di Kòrach, ma che il titolo stesso della parashà porti il nome del leader di un colpo di stato fallito. Non solo la Torà non nasconde le cattive notizie, ma va notato che i maestri sottolinearono anche l’episodio di Kòrach intitolando a suo nome la parashà!
La parashà inizia con queste parole: “E prese Kòrach, figlio di Izhàr, figlio di Kehàt, figlio di Levi, e Datàn e Aviràm, figli di Eliàv e On figlio di Pèlet, discendenti di Reuvèn. Essi confrontarono Moshè con duecentocinquanta uomini d’Israele, capi della comunità, rappresentanti dell’assemblea, persone di nome” (Bemidbàr, 16:1-2).
Rashì (Troyes, 1040-1105) fa notare che la sintassi del versetto è scorretta e si chiede: “E prese Kòrach. Che cosa prese? E spiega: Prese se stesso da una parte, per separarsi dalla comunità… e così tradusse Onkelos”.
R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (Bemidbàr, p. 128) osserva che “Fino ad allora nessuno aveva osato mettere in discussione l’autorità di Moshè. Kòrach aveva come solo obiettivo quello di spodestare Moshè e dedicò tutto se stesso al piano diabolico di indebolire la posizione di Moshè nella comunità […]. La ribellione di Kòrach fu un evento unico. In precedenza il popolo si era lamentato, aveva protestato e borbottato, ma sempre a seguito di qualcosa che mancava, come pane ed acqua […]. Tutte le dispute precedenti non erano organizzate né programmate. Erano reazioni spontanee a situazioni particolari di un popolino che era facile ad eccitarsi ma che poteva anche tornare a calmarsi […]. Kòrach iniziò la sua congiura criticando Moshè, attaccandolo e mettendolo in ridicolo. Egli usò tutte le armi del suo arsenale. Nelle conversazioni con qualcuno era serio. Con altri era ironico. Con alcuni si presentava nel ruolo del pubblico ministero, con altri come campione della giustizia”.
R. Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme) in Divrè Aggadà (p. 286) commenta che a Kòrach non mancava nulla: aveva ricchezza e sapeva fare uso della propaganda. In normali situazioni senza il miracoloso intervento divino Kòrach avrebbe vinto. Con i potenti mezzi a sua disposizione Kòrach riuscì ad assemblare tutta la comunità di fronte a Moshè e ad Aharon (ibid., 16:19).
Da vero demagogo Kòrach prometteva tutto a tutti: “Tutti i membri della congregazione sono kedoshìm (santi) e l’Eterno è tra di loro e perché vi siete presi tutte le cariche dell’assemblea dell’Eterno?” (Ibid., 16:3). In altre parole, Kòrach richiedeva una rotazione delle cariche con tutto il popolo. E da demagogo era anche in grado di fare grandi adunate.
Questa forza di Kòrach è in chiaro contrasto con le difficoltà che ebbero i neviìm (profeti) quando volevano parlare al popolo. R. Elyashiv cita il Midràsh (Yalkùt Yirmeyà, 262) nel quale i maestri dissero che tre neviìm profetizzarono nella stessa generazione: i profeti Yirmeyà (Geremia) e Tzefanià e la profetessa Chulda. Yirmeyà nelle piazze, Tzefanià nelle sinagoghe e Chulda presso le donne. Se Yirmeyà avesse aspettato che venissero da lui non avrebbe avuto a chi parlare. Per questo dovette andare in piazza. Così pure avvenne con Tzefanià e Chulda che dovettero andare a cercare il pubblico. Da questo ci si rende conto quanto sia difficile fare sentire la parola dell’Eterno. Al contrario, da questa parashà vediamo che quando un demagogo parla contro Moshè e i suoi insegnamenti tutto il popolo si raduna davanti alla Tenda della radunanza!