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    Zia Settimia e il peso della memoria

    Fin da piccola ho sempre percepito quanto il mio cognome destasse stupore nelle persone non appartenenti alla Comunità ebraica. La domanda era ed è tutt’ora sempre la stessa: “Sei parente di Settimia Spizzichino?” ed io rispondevo di sì con un gran sorriso. Poi diventando grande ho compreso che quella conoscenza non derivava da qualcosa che zia Settimia aveva fatto, ma per qualcosa che aveva subìto insieme a tante altre persone.

    Quando ci ha lasciati nel 2000 io avevo solo 6 anni e la conoscevo solo in veste della zia che giocava con me e che era sempre presente a casa dei nonni ad ogni Shabbat, festa ebraica e non solo.

    Una volta conosciuta la vera storia di lei e di tutta la mia famiglia, ho finalmente preso consapevolezza di quanto il mio cognome, così come il nostro trascorso, fosse una responsabilità da portare avanti in quanto nipoti della Shoah.

    Zia Settimia in casa non ne parlava mai e quando qualcuno provava a chiederle qualcosa era pronta a cambiare subito discorso, mentre chi aveva davanti doveva desistere e comprendere i suoi silenzi. Questo io lo so grazie alla mia famiglia, all’epoca ero troppo piccola per sapere determinate cose e tutti i miei ricordi con lei sono legati al gioco.

    Al di fuori della famiglia, però, Zia Settimia andava nelle scuole per parlare ai ragazzi ed è tornata nei campi per raccontare l’orrore che aveva vissuto. È riuscita a tenere viva la sua testimonianza attraverso numerose interviste che sono arrivate fino ai giorni nostri e sono fruibili anche online. Diceva di essere tornata per raccontare nel ricordo di chi non era tornato, come buona parte della sua famiglia, soprattutto suo fratello Pacifico – mio bisnonno – che era stato preso per delazione. Si vociferava che da quei campi fosse riuscito a uscire, ma non è mai tornato a casa. Un’altra anima della nostra famiglia andata persa troppo presto e con lui tutti i ricordi che avrebbe potuto creare con i propri figli: Mario che era molto piccolo e Giuseppe, che quando il padre è stato deportato era ancora nel grembo materno. Tutti noi – figli, nipoti e bisnipoti – non avremo mai il diritto di sapere la verità sul suo epilogo. Come noi tante altre famiglie di tutto il mondo.

    Quando zia Settimia ci ha lasciato c’è stata una persona speciale che si è fatta carico di portare avanti la memoria affinché la storia della nostra famiglia non cadesse nell’oblio: zia Carla Di Veroli Z”L che ci ha lasciato prematuramente nell’estate del 2021. Carla ha seminato tantissimo in tutti questi anni, creando ponti di pace come solo lei sapeva fare. Questo scatto generazionale ha permesso di dar luce a tanti progetti rivolti alla memoria, ma anche all’aiuto delle minoranze. Dai suoi progetti sono nati un libro, un film, una pedalata della memoria, un francobollo e tanto altro ancora. 

    Il mio percorso come “Nipote della Shoah” è iniziato grazie a lei quando ero al liceo e mi meravigliai di come nella mia scuola non si facesse nulla per la Giornata della Memoria. Se ogni scuola avesse fatto così, i ragazzi avrebbero rischiato di crescere senza conoscere questa parte della Seconda Guerra Mondiale, quella che va oltre i libri scolastici. Si conoscono le alleanze, i vincitori e gli sconfitti… Ma non le vittime. Così le dissi che avrei voluto fare qualcosa. Lei si indignò, si rivolse alla Preside e in pochissimo tempo organizzammo una conferenza che divenne consuetudine ogni anno. Da lì iniziai a dividermi tra scuole e progetti con zia Carla per portare avanti la missione iniziata da zia Settimia.

    Sono passati 80 anni, ma ci sono ancora tante storie da raccontare. Famiglie che hanno racconti confusi sui propri parenti deportati e mai tornati. Archivi che, forse, ancora devono rivelare qualcosa. Di certo c’è che i testimoni diretti sono sempre meno, mentre i rigurgiti antisemiti sono presenti più che mai. Sta a noi condividere il peso della memoria con tutti affinché il messaggio sia vivo per sempre.

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