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    Testimonianze archeologiche degli ebrei nella Roma antica

    La presenza ebraica a Roma e nel resto d’Italia è testimoniata da testi storici, monumenti e resti archeologici, ma anche da numerose lapidi sulle quali furono impresse scritte e simboli ebraici. Sulla lastra di marmo venivano incisi il nome del defunto e delle benedizioni sottostanti come “Shalom”, pace, o “Shalom Al Israel”, pace su Israele, e tra i simboli più frequenti vi era il Cedro, il Melograno, lo Shofar, i rotoli della Torah, il candelabro a sette braccia e molti altri. Vicino alle lapidi sono state ritrovate delle particolari coppe, alcune delle quali riportavano i nomi delle sinagoghe di appartenenza dei defunti, mentre altre raffiguravano l’antico tempio di Gerusalemme. Secondo gli storici, infatti, le sinagoghe costituivano all’epoca dei veri e propri centri autonomi il cui sentimento di appartenenza era molto forte. Non c’era più un’autorità od una istituzione nella quale tutti gli ebrei si rappresentassero. Il ritrovamento di quelle coppe ha permesso di far riemergere i nomi di molte sinagoghe, tra cui quella degli Augustei, situata fuori le mura della Porta Portuense, quella del Campo, Elea, dei Calcariensi, Rodii, dei Vernacoli, degli Agrippensi e, molto particolare, quella “Degli Ebrei”. 

    Il termine Sinagoga deriva dal greco, mentre in latino queste venivano chiamate “universitas” ed erano gestite da un consiglio di anziani, i Seniores. La figura istituzionale più elevata del tempio era il “Rosh Haknesset” e tra le varie cariche vi era anche quella del cantore, il “Hazan”, del presidente della comunità, il “gerusiarca” (tra i molti ricordiamo Toddos, citato anche nel Talmud Babilonese) e dei suoi amministratori, i “memunnim”. 

    Di cimiteri ve ne erano molti, ma, ad oggi, il più antico ritrovato è “il cimitero sotterraneo di Monteverde”, scoperto da Antonio Boso nel 1602 presso la Porta Portuense. Contrariamente a quanto prescritto nei testi biblici, gli ebrei romani solevano seppellire i defunti dentro le Catacombe in pieno stile romano, tra le quali una importante fu scoperta nel 1859 sulla Via Appia, nella “Vigna Randanini”, all’interno della quale sono stati scoperti dei loculi con delle lastre adiacenti che riportavano i nomi dei defunti: Isidoro ed Emilia Teodora. Non è l’unico caso. Nel corso dei decenni sono stati fatti riemergere decine di siti come questo e tutti contenenti simboli legati all’ebraismo. Molte di queste lapidi sono conservate nei depositi dei musei del Vaticano e solo una parte di esse è possibile visitare presso il Museo archeologico delle Terme di Diocleziano. 

    Un’attenta analisi delle lapidi e delle catacombe ha permesso di fare una riflessione sui nomi ebraici di quel periodo, che, contrariamente a quanto è possibile pensare, non erano tutti ispirati a quelli della Torah. Infatti, solo un sesto dei nomi era di origine ebraica. “550 iscrizioni ebraiche, una sola in aramaico, 413 in greco (il settantaquattro percento), 137 in latino 24 percento” (riferimento a “Storia degli Ebrei di Roma” di Riccardo Calimani).  

    Molti dei nomi ebraici furono adattati a quelli latini, ad esempio Isaac diventò Hilarius o Benedictus e molti di questi appartenevano a persone che erano state liberate dalla schiavitù delle famiglie romane. Questa è solo una minima parte che testimonia l’unione tra cultura ebraica e romana. Gli ebrei, per motivazioni storico-politiche, sono sempre stati costretti ad adattarsi a popoli e civiltà diverse, tuttavia senza mai dimenticare i propri usi, costumi e tradizioni che tutt’oggi sono solidi nelle comunità ebraiche del mondo.

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