Pubblichiamo di seguito alcuni estratti del contributo della Professore e autore Shalom Sabar tratti dal catalogo “Le ketubbòt romane I contratti nuziali della Comunità Ebraica di Roma” uscito in occasione dell’omonima esposizione nel 2018
L’arte del contratto di matrimonio ebraico (ketubbà, pl. ketubbòt), raggiunse l’apice del suo splendore artistico in Italia nel XVII e nel XVIII secolo. Fu in questo periodo, generalmente denominato nella storia italiana ebraica come “Epoca del Ghetto”, che alcune delle più belle e sontuose ketubbòt a noi note oggi nel mondo ebraico furono prodotte in Italia. In realtà, gli ebrei italiani non erano gli unici a realizzare i contratti di matrimonio dei loro figli in modo così attraente. L’arte della ketubbà era diffusa anche tra le comunità sefardite in Europa (ad es., nei Paesi Bassi, in Francia e Germania) così come nell’Impero Ottomano (in gran parte, nelle attuali Turchia e Grecia, e in Terra di Israele). Fuori dall’Europa, furono realizzate ketubbòt colorate in quasi tutte le comunità ebraiche sotto l’Islam: dal Marocco e la Tunisia alla Syria, Iran, Afghanistan e Yemen. Esemplari interessanti sono noti anche nelle comunità isolate del Kurdistan, India, Georgia, e nelle comunità sefardite che vivevano ai Caraibi, in Brasile, ecc. Le ketubbòt italiane, tuttavia, superavano tutte quelle delle altre comunità per il loro aspetto visivo: inizialmente nella scelta di motivi e disegni, si spaziava utilizzando molti temi ripresi dall’arte florida e popolare dei loro vicini, introducendo elementi provocatoriamente “non-ebraici”, come figure di nudi femminili, scene mitologiche, e persino l’immagine di D-o. Soprattutto, le ketubbòt italiane dimostrano spesso il pensiero profondo e il duro lavoro dedicato alla creazione di quelle che possono essere considerate oggi e, in una prospettiva storica, le più sofisticate ketubbòt illustrate. Nonostante il suo primato, l’Italia non è il paese in cui l’illustrazione della ketubbà ebbe inizio e infatti, la pratica si diffuse tra gli ebrei italiani secoli dopo essere diventata popolare in altre comunità. Le più antiche, e ancora esistenti, ketubbòt decorate provengono dalla Terra di Israele e dall’Egitto dei secoli IX-X. Scoperte nella famosa Geniza del Cairo, esse testimoniano l’inizio della tendenza a decorare i contratti, che dovevano essere strettamente legati alle usanze prevalenti dell’epoca: l’elenco dettagliato nel contratto degli oggetti della dote e il loro valore, seguito dalla lettura pubblica del contenuto, a dimostrazione della ricchezza della famiglia. I contratti, tuttavia, sono in gran parte conservati in modo frammentario e la loro decorazione è limitata a semplici disegni floreali, geometrici e micrografici. Due frammenti presentano disegni architettonici, un motivo che diventerà centrale nei secoli successivi, compresa l’Italia. Dalla Terra di Israele e dall’Egitto, l’usanza si diffuse in molte altre comunità nei paesi islamici, e sebbene i primi esempi tuttora esistenti, provenienti da paesi come l’Iran e lo Yemen, furono prodotti secoli dopo (XVII-XVIII sec.), conservano spesso le note caratteristiche delle ketubbòt di Geniza L’usanza di decorare la ketubbà arrivò a un certo punto anche in Europa. Per diverse ragioni sociali, gli ebrei ashkenaziti scelsero di non seguire questa pratica, forse perché lì i rabbini uniformarono il testo della ketubbà, così che essa contenesse poche informazioni personali, e di conseguenza il suo aspetto materiale contava poco o nulla. Nella Spagna medievale le cose andarono diversamente e la ketubbà oltre alle circostanze personali, che venivano aggiunte al testo rabbinico, rappresentava, nella cerimonia, un documento importante e “vivo”. A causa delle persecuzioni degli ebrei spagnoli, non ne sono sopravvissuti molti esemplari, ma i pochi noti, per lo più conservati negli archivi spagnoli, testimoniano la diffusione dell’usanza in molte regioni della Spagna. Con l’espulsione del 1492, i sefarditi portarono via con loro questa tradizione insieme a molte altre che fecero rivivere nei nuovi insediamenti. La testimonianza visiva e materiale sul matrimonio nell’Italia rinascimentale mostra quanto fosse elaborato e ricco: gli abiti, i gioielli, i regali di nozze, ecc. Tuttavia, le ketubbòt di questo periodo erano semplici e non decorate. Il documento non veniva letto durante la cerimonia, e, infatti, veniva consegnato alla sposa arrotolato, senza essere mostrato al pubblico10. Con l’arrivo dei sefarditi a Roma, Venezia e in altre regioni italiane, le ketubbòt illustrate divennero sempre più comuni, e lentamente la pratica fu imitata ed estesa ad altre comunità italiane. Dalla prima metà del XVII secolo, la ketubbà illustrata era familiare tra gli italiani e persino i tedeschi l’adottarono. L’usanza divenne sempre più diffusa e molti artisti del popolo, e i loro mecenati, si dedicarono alla realizzazione di sontuose ketubbòt decorate. Infatti, mentre le famiglie facevano a gara su chi avesse la ketubbà più bella, le autorità di alcune comunità, compresa quella di Roma, mettevano un limite sulla somma che si poteva spendere per realizzare e decorare la ketubbà. Durante il XVII e gli inizi del XVIII secolo, molte delle maggiori comunità, ad es., Venezia, Livorno, Mantova, Lugo, Firenze, Ancona e Roma, elaborarono il loro stile e le loro tecniche di scrittura e decorazione della ketubbà. Nelle righe seguenti, esamineremo l’elaborazione e le caratteristiche tipiche della ketubbà in una delle più importanti comunità in questo campo, ovvero Roma. La prima nota ketubbà decorata di Roma e la sua composizione La prima ketubbà illustrata ancora esistente di Roma risale al 1612. E sebbene ci siano esemplari precedenti di altre città italiane, Venezia in particolare, la data della propriamente detta ketubbà corrisponde, più o meno, alla cronologia dello sviluppo di questa usanza tra gli ebrei italiani. La decorazione dei pochi esemplari risalenti alla fine del XVI – inizi del XVII secolo, compresi quelli romani, è relativamente semplice e testimonia un’attività artistica popolare che stava prendendo forma rapidamente in quel periodo. Pertanto, il contratto del 1612 mostra già alcuni elementi che avrebbero caratterizzato le ketubbòt romane delle generazioni successive. È disegnato su un lungo pezzo di pergamena rettangolare, che misura 90,8 × 62,7 cm, con il bordo inferiore sagomato. Il bordo inferiore ha un grande foro, ad indicare il nastro che c’era un tempo, come è evidente in alcune ketubbòt romane successive (poche conservano il nastro, mentre molte altre hanno, sulla parte inferiore a punta, piccoli tagli che suggeriscono la sua presenza). Questa caratteristica rivela l’usanza degli ebrei romani di conservare la ketubbà, dopo essere stata letta pubblicamente, arrotolata dall’alto alla parte inferiore decorata (per far sì che il testo non fosse danneggiato), e di legare poi il rotolo con il nastro. Il modo di sagomare la parte inferiore a Roma (e in alcune zone del Piemonte – anche se in genere non in una forma triangolare) è diverso dalla maggior parte delle altre città italiane (ad es., Venezia, Livorno, Firenze, Ancona), dove era invece comune decorare la parte superiore della pergamena. I due metodi riflettono, infatti, l’usanza originaria di utilizzare tutta la parte carnosa della pelle dell’animale e quella del collo per scrivere e decorare il contratto, così come la parte sagomata, sia quella superiore che quella inferiore.
A cura di Michelle Zarfati