di Donato
Grosser
Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel Mishnè Torà (Hilkhòt Teshuvà, 2:6) scrive:
“Nonostante che la teshuvà (il
pentimento, letteralmente “il ritorno”) e la preghiera siano valide in
qualunque momento, nei dieci giorni tra
Rosh Ha-Shanà e il giorno di Kippur sono ancor più valide e vengono
accettate immediatamente”.
Il Maimonide spiega che la teshuvà consiste nell’abbandonare il
peccato, toglierselo dalla mente e impegnarsi a non commetterlo più; pentirsi
di quello che si ha commesso nel passato e manifestare il pentimento
verbalmente nella confessione [all’Eterno] (ibid., 2:2). La teshuvà più completa è quella che
occorre quando una persona si trova nella stessa situazione nella quale aveva
commesso il peccato e si astiene dal commetterlo perché ha fatto teshuvà e non per qualche altro motivo
(ibid., 2:1).
Nel Talmud babilonese (Berakhòt, 34b) vi è una discussione tra
due maestri su chi sia superiore: colui che non ha mai peccato oppure colui che
ha peccato ma ha fatto teshuvà:
“R.Hiya bar Abba disse a nome di R. Yohanàn: “Tutti i profeti hanno
profetizzato solo per conto di penitenti; ma per quanto riguarda il giusto
nessun profeta ha mai visto la loro ricompensa».” R. Abbahu era di diversa
opinione e disse: “Nel luogo in cui stanno i penitenti non possono stare
neppure coloro che sono completamente giusti”.
R. Abbahu si basa sul versetto
(Yesha’yahu, 57:19) dove è detto: Pace, pace a colui che era lontano e a colui
che è vicino: colui che era lontano [il penitente] precede colui che è vicino.
R. Yohanan, invece disse: cosa si intende per “lontano”? Uno che fin
dall’inizio era lontano dalla trasgressione (il giusto). E cosa si intende per
“vicino”? Colui che era vicino alla trasgressione e ora se ne è
allontanato (il penitente).
R.
Yehudà Moscato (Mantova, 1530-1593) nell’opera Nefutzòt Yehudà (derùsh 38)
riassume il commento di questo passo talmudico di R. Yitzchàk ‘Arama (Zamora, 1420-1494, Napoli) in ‘Akedàt
Yitzchàk (Devarìm, 100). R.
‘Arama sostiene che R. Yochanàn e R. Abbahu non sono in disaccordo l’uno con
l’altro: R. Yochanàn sostiene che il giusto sia superiore di livello perché non
ha mai peccato; R. Abbahu sostiene che il penitente ha una ricompensa superiore
per via dello sforzo che ha fatto per tornare sulla retta via e per resistere
alle tentazioni. R. Shemuel Eidels detto Maharsha (Polonia, 1555-1631) offre una
spiegazione simile: per i penitenti la ricompensa è materiale in questo mondo,
mentre per i giusti la ricompensa è spirituale.
R.
Chanokh Zundel (Russia, m. 1867, Polonia) in ‘Etz Yosef spiega l’espressione di R. Abbahu (“Nel luogo in cui
stanno i penitenti non possono stare neppure coloro che sono completamente
giusti”) in questo modo: Il ba’al teshuvà
non ha bisogno di proteggersi più di tanto dal peccato perché ha già
controllato i propri istinti e grazie a questo è riuscito a fare teshuvà. È quindi al sicuro dalle
tentazioni e può andare ovunque. Il giusto invece (che non è stato “inoculato”)
ha bisogno di maggiore protezione e non può stare in un luogo dove può andare
un penitente.
R.
Feivel Cohen (Brooklyn, 1937) in una delle sue lezioni spiegò che ba’al teshuvà è colui o colei che ha
ricevuto un’educazione in una famiglia osservante, ha abbandonato l’osservanza
delle mitzvòt e poi ha fatto teshuvà ed è ritornato a una vita di
Torà e di mitzvòt. Coloro che sono
cresciuti in una famiglia dove l’osservanza delle mitzvòt era minima o nulla e non hanno ricevuto un’educazione di
Torà e poi hanno studiato e hanno progredito nell’osservanza delle mitzvòt sono denominati erroneamente ba’alè teshuvà, penitenti, perché non
avendo ricevuto un’educazione di Torà senza colpa loro, non erano mai stati dei
ba’ale ‘averà, dei peccatori.
Anch’essi fanno parte della categoria dei giusti.