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    ROMA EBRAICA

    “Oreste Bisazza Terracini per noi giovani fu un maestro. Inchiodò un terrorista dell’Achille Lauro”. Il ricordo di Riccardo Pacifici

    Oreste Bisazza Terracini, avvocato e figura di spicco nella difesa dei diritti della comunità ebraica, si è spento durante il digiuno del 9 di Av. Una carriera professionale profondamente legata alla comunità ebraica, in particolare nel caso del processo contro il criminale nazista Erich Priebke e quello in contumacia contro Al Zomar, uno dei terroristi responsabili dell’attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982.

    Riccardo Pacifici, ex presidente della Comunità Ebraica di Roma e vicepresidente dell’European Jewish Association, ha conosciuto personalmente l’avvocato Bisazza Terracini e ha collaborato con lui nella rappresentanza della comunità ebraica. Per ricordare la figura di Oreste Bisazza Terracini e il suo ruolo all’interno della comunità ebraica romana, Shalom ha intervistato Pacifici.
    «Tutto ebbe inizio nel 1988, quando ebbi l’opportunità di assistere come figlio di una delle vittime dell’attentato alla Sinagoga di Roma al processo a Al Zomar. – ricorda Pacifici – Ricordo chiaramente l’arringa finale del processo, un momento cruciale in cui l’avvocato della Comunità Ebraica di Roma, Bisazza Terracini, ottenne la condanna all’ergastolo di Al Zomar. Fu un’esperienza intensa, ma anche un’occasione per ammirare da vicino la competenza e la passione dell’avvocato, figlio adottivo del senatore Umberto Terracini, presidente della Costituente. La sua padronanza del diritto e la capacità oratoria erano straordinarie, specialmente in relazione alle questioni legate al mondo ebraico, sia a livello nazionale che internazionale».

    Quale era il suo ruolo all’interno della comunità?

    Era l’avvocato della Comunità Ebraica di Roma. Aveva una profonda conoscenza delle istituzioni e una straordinaria abilità nel maneggiarle. Quando lo incontrai per la prima volta, avevo 18 anni; fu mio padre a presentarmelo, dato che studiavano insieme. Bisazza Terracini era di circa dieci anni più giovane di mio padre e, insieme a un gruppo di studenti, seguiva le lezioni di ebraismo tenute dal professor Augusto Segre, una figura altrettanto rilevante nella storia della comunità. Era un uomo poliedrico, appassionato e attento alle future generazioni. Ricordo che ci guidava anche nella redazione dei nostri primi comunicati: li voleva leggere, correggeva e analizzava ogni dettaglio, compresi gli aspetti psicologici e le tempistiche. Aveva una conoscenza profonda del contesto e sapeva quale fosse il modo più efficace per trasmettere un messaggio.

    Oltre al suo ruolo comunitario, quali altri incarichi ha ricoperto?

    Per molti anni è stato presidente dell’Associazione Giuristi Ebrei in Italia e vicepresidente internazionale, dato che lo statuto prevedeva che il presidente a livello internazionale dovesse essere un israeliano. Nonostante questo, il suo contributo è stato immenso. Ha condotto battaglie legali di rilevanza internazionale. Ad esempio, oltre a difendere la Comunità Ebraica dopo l’attentato del 9 ottobre, fu determinante nel processo relativo alla vicenda dell’Achille Lauro. Riuscì a ottenere la condanna all’ergastolo di uno dei dirottatori, responsabile dell’omicidio di Leon Klinghoffer, gettato in mare durante il sequestro.

    Per diversi anni l’avvocato Bisazza Terracini è stato consigliere della Comunità Ebraica di Roma, e lei ha collaborato con lui. Può raccontarci questa esperienza?

    La mia prima esperienza risale al 1993, quando mi candidai da solo in una lista indipendente. Lui mi disse chiaramente che non avevo capito come funzionava il sistema, e aveva ragione. Nonostante tutto, arrivai secondo. Lui conosceva bene quei “mostri della politica”, come li chiamava. Nel 1997 fu affascinato dal nostro gruppo di giovani e decise di sostenerci nella creazione di una lista, con cui vincemmo le elezioni. Fu lui a spiegarci il funzionamento dei meccanismi burocratici e strategici, essenziali per noi che eravamo alle prime armi.

    Era una persona molto rispettata ma anche complessa, è corretto?

    Sì, era una figura complessa. Pur avendo un’intellettualità e una professionalità che potevano avvicinarlo al notabilato, molti lo tenevano a distanza. Quando si candidò con noi nel 2000, la gente fu scioccata. Non capivano come una persona del suo calibro potesse unirsi a un gruppo di giovani inesperti.

    Avete collaborato anche su temi delicati, come il processo Priebke. Può dirci di più?

    Il processo Priebke fu un momento di grande tensione. Lui capì subito che l’assoluzione era probabile, probabilmente grazie alle informazioni che aveva raccolto. Ci preparò a ogni scenario, suggerendo di avere pronti due volantini: uno per un’eventuale condanna e uno per l’assoluzione. La sua visione strategica e la capacità di leggere la situazione furono essenziali per affrontare quel momento così difficile. Nonostante fosse inviso a molti, sapeva sempre come muoversi.

    Negli ultimi anni della sua vita l’avvocato si dedicò alla poesia. Cosa si ricorda di questa sua passione?

    Amava condividerla con gli altri. Scriveva spesso, alcune poesie in rima, altre no, e talvolta mi invitava nel suo studio a Viale Mazzini per mostrarmi i suoi lavori. Era una persona di grande cultura e umanità.

    Cosa ha significato per lei condividere con lui parte del suo percorso comunitario con Oreste Bisazza Terracini?

    Ho imparato tantissimo da lui, sia sul piano professionale che personale. Era un uomo straordinario, sempre pronto a condividere la sua esperienza e il suo sapere, e di questo gli sarò sempre grato. La stima che aveva nei miei confronti è stata per me un grande onore e una costante fonte di motivazione.

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