Con la demolizione dell’area del ghetto di Roma, occorsa tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, anche le Cinque Scole, le antiche sinagoghe italiane e sefardite (Tempio, Nuova, Catalana, Castigliana e Siciliana) furono abbattute (1908). Contestualmente fu allestito il nuovo edificio dedicato al rito spagnolo, presso Lungotevere Sanzio (1908-1910), dagli stessi Osvaldo Armanni e Vincenzo Costa che progettarono il Tempio Maggiore della capitale, inaugurato nel 1904.
Nel 1932 Scoletta (così generalmente chiamato dai suoi frequentanti il beth hakneset spagnolo) fu trasferita nell’attuale sito dove è ospitato il Museo Ebraico di Roma e questo a causa delle necessità di spazio associate all’inaugurazione e allo sviluppo delle scuole ebraiche.
Pertanto, quest’anno ricorre il novantesimo anniversario dell’inaugurazione del nuovo tempio sefardita. e sarà importante immaginare per i prossimi mesi una serie di attività per comprendere quanto sia stato forte l’impatto dell’arrivo degli ebrei dalla Spagna e dal Sud dell’Italia nella configurazione della collettività ebraica presente nell’Urbe in età moderna. Sarà, inoltre, importante capire come il loro retaggio resti ancora vivo e vitale nel rito sinagogale, nella lingua giudaico romanesca, negli usi e nel patrimonio culturale attualmente conservato presso l’Archivio Storico e la Biblioteca della Comunità Ebraica di Roma.
Nel 1948 la sinagoga fu ristrutturata e abbellita con gli arredi provenienti dalle Cinque Scole. Tale scelta fu particolarmente felice perché fa di questo beth hakneset il luogo di culto ebraico a Roma più vicino, per atmosfera e tipologia architettonica, alle entiche sinagoghe del ghetto. Infatti, l’Aron haKodesh (l’armadio che contiene i rotoli della Torah, il Pentateuco, proveniente dalla Scola Nuova) è posto davanti alla bimah (altare, proveniente dalla Scola Castigliana) costituendo in questo modo la pianta bifocale tipica degli antichi luoghi di preghiera. La struttura raccolta di Scoletta è distante dai fabbricati tipici delle sinagoghe monumentali erette, ad esempio, a Roma e Firenze tra Otto e Novecento.
Il rito seguito (data la scomparsa delle Cinque Scole), è una fusion di varie tradizioni sefardite.
L’ambiente sociale del Tempio Spagnolo è sempre stato particolare, formato prevalentemente frequentanti dagli ebrei più legati alla tradizione ebraica, agli usi e costumi derivanti direttamente dall’Era del ghetto.
A questo proposito, ne parliamo con Rav Abramo Alberto Funaro, una delle figure storiche di questo beth hakneset.
Qual è oggi il ruolo del minhag (rito) sefardita a Roma? È ancora importante la funzione di Scoletta?
Certamente. Soprattutto in considerazione del fatto che la maggioranza delle famiglie ebraiche della capitale ha origini sefardite, anche se oggi frequenta altri luoghi di culto.
Inoltre, va sottolineato che quello spagnolo è da sempre definito il “Tempio di Piazza” [Piazza Giudea, antico toponimo oggi scomparso, n.d.r.], degli ebrei di “Piazza”, i membri della keillah (comunità) di antica provenienza rispetto ad altri arrivati a Roma tra Otto e Novecento, che andarono ad abitare lontano dall’area dell’ex ghetto.
Anche nei decenni successivi la Seconda guerra mondiale il rito sefardita fu particolarmente seguito da una parte significativa della collettività ebraica romana a tal punto che nei giorni di Rosh HaShanah (il capodanno ebraico) e Kippur (il giorno dell’espiazione dei peccati), per mancanza di spazio le tefilloth (preghiere) si svolgevano presso la scuola ebraica, sito originario di Scoletta.
Io mi sono formato alla “scuola” del Tempio spagnolo e posso affermare, senza tema di smentita che, durante i moadim, (feste solenni) il numero dei frequentanti del Tempio Spagnolo (nelle sue varie sedi) non era inferiore a quello di altri bathè hakneset. È questo mi viene spesso confermato da molti membri della comunità che ormai, spesso per motivi di distanza fisica, non frequentano più Scoletta ma che conservano ricordi indelebili del giorno del Kippur, in particolare durante Neillà (la preghiera di chiusura dello Yom Kippur). Un momento particolarmente sentito dalle famiglie ebraiche, in cui il retaggio di Scoletta si fa ancora sentire forte. Soprattutto in relazione ai canti liturgici, estremamente suggestivi, come dimostrano anche gli studi e le registrazioni da noi effettuati assieme al prof. Pasquale Troia.
Ancora oggi il Tempio Spagnolo è tra le sinagoghe più “gettonate” per effettuare il bar mitzvah (maggiorità religiosa) proprio perché il richiamo alle origini è forte.
Va detto, infine, che il rito originale ha subito negli ultimi decenni diverse “contaminazioni”, ovvero sono stati introdotti elementi liturgici estranei al minhag costituto agli inizi del Novecento.
In termini di ambienti culturali e sociali come sono cambiati nei decenni i frequentanti dello “spagnolo”?
Va sottolineato che la società si è evoluta. Originariamente i membri del di Scoletta appartenevano alle classi meno abbienti della società romana rispetto ad altri bathè hakneset di Roma. Oggi la situazione è diversa: è’ tutto molto più livellato.
Il tratto caratteristico degli “spagnoli” è sempre stata l’estrema scherzosità, lo sfottò è sempre stato l’elemento distintivo del nostro ambiente.
Un altro elemento tipico era l’uso, oggi scomparso, di baciare le mani dei propri padri e i nonni in occasione della benedizione del venerdì sera, all’entrata dello Shabbat.
Quali sono le figure di maggior spicco di Scoletta che ricorda? E quale fu il loro contributo alla keillah?
Morè (maestro) Nello Pavoncello, Morè Moshè e il M° Giovanni Moscati, uno dei migliori chazzanim (cantori) che abbiamo avuto assieme ad Angelo Sonnino, segretario del Rabbino Capo.
Sono stati maestri capaci di creare momenti aggregazione, un rapporto di grande coesione, soprattutto durante la lettura dei salmi. Come mi raccontava mio padre, questi avevano creato la Società dei Teillim (salmi) che raccoglieva denaro per organizzare momenti di convivialità (la Scinna., un pranzo collettivo). Tra le figure di maggior rilevo vi era un certo Zì David (David Terracina) che, conosceva i canti delle Cinque Scole.
Tra loro si sceglievano le persone adatte al controllo della kasherut (idoneità del cibo stabilita in base alle regole ebraiche), almeno secondo lo standard dell’epoca.
Oggi mancano figure di riferimento con quelle capacità di aggregazione e l’allontanato di molte famiglie da “Piazza” ha fatto il resto.
Il beth hakneset, in generale come struttura, sta recuperando la centralità che ebbe in passato?
Si certamente. Ci sono molti bathè Hakneset che stanno svolgendo un ruolo straordinario. Io ho esercitato presso alcuni templi di Roma ma il mio cuore resta allo “spagnolo”.
È riuscito a trasmettere ai suoi figli il senso di appartenenza a Scoletta?
Si, infatti, mio figlio Daniel è parnas (amministratore) dello “spagnolo” e questo è per me motivo di grande soddisfazione perché la sua attività si riconnette al quella suo nonno. Un grande dono che D-O mi ha fatto. È per me uno stimolo a frequentare il beth hakneset in questo momento di pandemia per poter garantire il più possibile il minian (gruppo di dieci persone che costituisce il numero minimo di fedeli necessario per svolgere le funzioni sinagogali complete).