Uno splendido articolo del Rabbino capo Elio Toaff, datato marzo 1959 e pubblicato in occasione della festa di Purim, riprende, tra i vari spunti, un tema chiave della storia dell’ebraismo: il rapporto con i non ebrei dal punto di vista dei ruoli istituzionali e in generale per quanto concerne le posizioni di grande visibilità.
Il Rav, riflettendo sul suggerimento di Mardocheo a sua cugina Ester, in procinto di divenire regina di Persia, di nascondere la propria identità ebraica, pone un quesito antico e moderno: è bene nello svolgimento di tutta una serie di attività non nascondere, evidenziare o rivendicare il proprio ebraismo? La storia dimostra come, per gli ebrei, essere particolarmente visibili può essere estremamente pericoloso perché può concorrere a far emergere un forte antisemitismo, un fuoco che spesso cova sotto la cenere.
È storicamente provato che a momenti di grande crescita dell’importanza della presenza ebraica all’interno di determinate collettività, nonostante gli apporti significativi per la crescita culturale e materiale dei luoghi dove gli ebrei vivevano, hanno fatto spesso seguito persecuzioni terribili.
La Bibbia parla di un re che non aveva conosciuto Giuseppe; dopo un periodo di grande crescita del ruolo degli ebrei nella Spagna tardo medievale, si ebbe l’espulsione di questi da tutti i luoghi soggetti alla corona spagnola; l’Europa della Belle Époque fece registrare una presenza ebraica qualitativamente importante in ogni settore della vita politica, economica, istituzionale e culturale. A tutto ciò fece seguito la Shoah.
La domanda è questa: qual è la visibilità degli ebrei oggi? Quale ruolo stanno giocando all’interno del “villaggio globale”? Qual è la percezione dei non ebrei delle compagini ebraiche sparse per il mondo?
Il dibattito è aperto.