Tre epoche, tre storie, tre donne. Le vicende di Miriam, Giuditta e Esther compongono una saga famigliare che si risolve in un riuscito finale a sorpresa. E’ questa la traccia che ha seguito Cinzia Leone nel romanzo Ti rubo la vita, pubblicato recentemente da Mondadori, seicento pagine segnate da una scrittura semplice e coinvolgente. Nonostante la mole il libro si legge rapidamente, anche grazie alla forte caratterizzazione dei personaggi e all’assenza di cali di tensione dall’inizio alla fine. Tutto comincia a Giaffa nel 1936, quando Miriam viene costretta dal marito a rinunciare alla propria identità sullo sfondo dei pogrom della grande rivolta araba. Ci spostiamo poi, con Giuditta, tra Ancona e Roma negli anni delle leggi razziste antiebraiche e della Shoah, anni in cui agli ebrei, che lo volessero o meno, l’identità viene imposta dai persecutori. Infine Esther, in bilico tra identità diverse e tutte sfuggenti, che si muove nei primi anni novanta in cerca di regole e orizzonti definiti, tanto da scegliere la strada del matrimonio combinato. Sono storie di donne dai caratteri forti che in momenti diversi si trovano a dovere assumere il peso di scelte cariche di conseguenze, storie in cui le identità negate, imposte, calpestate, cercate e non trovate si intrecciano. Miriam, Giuditta e Esther sono legate a uomini che, in modi diversi, hanno loro rubato la vita; ma essi stessi sono vittime della storia, dell’identità rubata, del coraggio autoreferenziale perché solo concentrato su se stesso, dell’infelicità in un mondo disorientato. In questo modo le molte voci del romanzo, pur nella diversità delle situazioni e delle esigenze di ciascuna, compongono un coro consonante.