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    ROMA EBRAICA

    La dieta di Pesach

    “Non c’è meglio di Pesach per dimagrire”, mi sono detta l’altro giorno carica della spesa di matzot (le sfoglie di pane azzimo) israeliane e francesi nonché di ciambellette, biscotti all’arancio, patatine in busta. “In fondo, senza lieviti ci si sgonfia e finalmente riuscirò a fare l’agognata dieta in vista della prova costume”. Non che non mi renda conto che tutto quello che arriva dalla Francia e da Israele, nonché da Roma, non sia propriamente dietetico, ma quest’anno ho cercato di non eccedere nel compare dolci al cocco, madeleines, matzot e ciambellette al cioccolato. Così tutta contenta ho pensato che senza chametz, ovvero senza lievito, si vive meglio, e dopo una settimana senza pane né pizza mi rientreranno i pantaloni di dieci anni fa, ma che dico, almeno quelli di vent’anni fa. Perché se c’è una certezza è che a Pesach la dieta è più leggera.
    Così rasserenata, mi sono messa a dormire che già mi sentivo più magra. In sogno, però, mi è apparso lui, Crescenzo Del Monte, il poeta del Ghetto. “Ma che dici, ma che ne sai, a Pesach il mangiare è greve…”. “Ma come greve? – gli faccio io di rimando – No, Crescenzo ti sbagli, io mi sono messa a dieta”. Il dubbio però mi è restato e la mattina dopo ho preso il mano il suo libro di poesie da dove è spuntato un sonetto proprio sulla mazza’, la sfoglia di pane azzimo.

    Confesso che ad una prima lettura non ci ho capito nulla e pertanto ho telefonato a Micaela Procaccia che ha curato l’edizione integrale dei sonetti del grande Crescenzo e mi sono fatta spiegare la faccenda. “C’è una signora che ha preparato le matzot e si lamenta con l’amica Joditta che al marito Abramme non gli sono andate bene”, mi spiega Procaccia. Perché? “Perché non le ha scolate bene dell’acqua. Tradizionalmente le matzot si impastavano rapidamente con poca acqua per non farle gonfiare e poi si rendevano croccanti mettendole su una pietra calda. Questo si chiamava scolare”.
    Ma perché la signora è arrabbiata? “Perché dice che adesso che è Pesach il mangiare è greve, è pesante, e le matzot troppo scolate ti fanno infuocare la pancia, ovvero ti gonfiano, ti fanno venire l’aria in pancia, cosa tipica di Pesach. All’amica dice di assaggiarle e di giudicare un po’ lei. Ad Abramme, le matzot troppo scolate gli fanno mal – spiega la signora ma poi aggiunge: io non posso impazzire appresso a lui e siccome la salute è la sua, facesse un po’ come gli pare”.
    Ah, ecco, e io che credevo che a Pesach si mangiasse leggero… “Veramente da quando sono bambina – spiega Micaela Procaccia – sento grandi lamenti che a Pesach viene il mal di pancia, che si digerisce male. Intanto, si usano tantissimo le uova, per le pizzarelle, per il dolce di mandorle, per tutto quello che si può”.
    Quindi a Pesach si ingrassa? “Pensiamo alle pizzarelle, intrise d’olio, con la frutta secca, poi fritte e ripassate nel miele, di certo non sarebbero consigliate da un dietologo. Con l’assenza di lievito, poi, sembra che il cibo non basti mai e quindi si tende a mangiare di più. Dobbiamo anche comprendere che all’epoca dei sonetti di Del Monte, tra fine Ottocento e inizi Novecento, il pane era la base di tutta l’alimentazione”.

    Ma com’erano le matzot dell’epoca? “Non erano proprio uguali, almeno la forma non era quella di oggi, a occhio sembrano più spesse, assomigliavano di più alle matzot francesi che a quelle israeliane”.
    Tornando al sonetto, è la descrizione di una lite tra coniugi per le matzot… “Sì, molti dei sonetti di Crescenzo Del Monte riguardano dissidi familiari, liti fra coniugi, sono un suo classico”.
    Per fortuna, oggi le matzot vengono comprate e così mio marito non si può lamentare come Abramme, almeno fino a che non si inforna la Bocca di Dama, il tipico dolce tripolino. E lì, inutile combattere, mia suocera la faceva meglio. Che ci posso fare io se mi viene dura come un sercio? Insomma, questa Pesach mi lascia due amare certezze: mia suocera cucinava meglio le ricette tripoline e anche quest’anno non mi rimetterò i pantaloni di dieci anni fa.

    La “mazza”1
    Per vita de Jodditta2, assaja3 qua!
    Dimme se meglio nunze po’ sentì!
    E Abbramme ha avuto l’anema de di’
    che nun aio scolato ‘sta mazza!4

    Ma nniente, nniente! È provio mordedì5,
    ch’è un omo strano, è, quell’omo là!
    Mo ch’è Pèsechhe6 poi che lo magnà’
    l’è grèeve, l’ha da recaccià’ co’ mi!

    E nu ‘la vo’ capilla, nu’ la vo’
    Che nun ze po’ scolà’ tanto, perchì
    ‘nfòca lo corpo, poi, ma chi ce po’!

    Io, matta! Ch’avrio da falli fa’
    Quello che vo’! cosa me ‘nporta a mi?!
    Ohé! Dopo ttutt’ è sia7 la sanità.

    Note
    1.Pane azzimo non lievitato che si mangia nei giorni di Pasqua ebraica; 2.Per la vita tua, Giuditta; 3.Assaggia; 4.Scolare l’azzima, ovvero scaldarla alquanto per renderla croccante appoggiandola alla parete del focolare come si farebbe di un piatto lavato per farne scolare le gocce. Ciò sembra che si facesse in antico dopo averla effettivamente bagnata. 5.Espressione cordiale (per amore di te). 6.Pasqua. Sua (salute).
    I sonetti di Crescenzo Del Monte sono pubblicati dalla casa editrice La Giuntina. La sfoglia di pane azzimo si chiama maztà, singolare, matzot plurale.

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