di Donato Grosser
Le ultime parole della parashà e della Torà sono una
descrizione di Moshè e delle grandi cose che fece: “E non sorse mai più profeta in Israele come Moshè, col
quale l’Eterno aveva trattato faccia a faccia, per tutti i prodigi e i miracoli
che l’Eterno lo incaricò di fare in Egitto al faraone, a tutti i suoi servi e a
tutto il suo paese; e per tutte le dimostrazioni di forza [lett.: il forte
braccio] e per tutte le grandi e straordinarie [lett.: spaventevoli] azioni che
Moshè operò di fronte a tutto Israele” (Devarìm,
34:10-12).
R. Yosef Albo (Aragona, 1380-1444, Castiglia) nel Sèfer Ha’Ikkarim (III, cap. 10) scrive
che i miracoli che vennero fatti da
tutti gli altri profeti hanno in comune la caratteristica di non aver avuto
lunga durata e che non vennero fatti alla presenza di tutto o di gran parte del
popolo. Invece tutti i miracoli e le azioni
straordinarie fatte da Moshè non furono solo più numerosi di quelli di
tutti gli altri profeti, ma furono
superiori per il fatto che avvennero in pubblico e ebbero lunga durata.
Per esempio, la manna durò per quaranta anni e così pure la colonna nuvolosa di
giorno e quella di fuoco di notte. Per questo motivo queste differenze tra i
miracoli di Moshè e quelli degli altri sono menzionate alla fine della Torà.
Prima di tutto il testo si riferisce alle differenze tra l’ispirazione
profetica di Moshè e quella degli altri con l’espressione: “E non sorse mai più profeta in Israele come Moshè col
quale l’Eterno aveva trattato facci a faccia”. Il testo procede a spiegare le
differenze tra i miracoli di Moshè e quelli degli altri profeti: ”Per tutti i
prodigi e i miracoli che l’Eterno lo incaricò di fare” che indica il loro
grande numero. Poi dice “In Egitto al
faraone, a tutti i suoi servi e a tutto il suo paese” indicando che i miracoli
furono fatti in pubblico e anche alla presenza della parte avversa. E
riferendosi alla loro durata, la Scrittura dice: “Per tutte le grandi e
straordinarie azioni che Moshè operò di fronte a tutto Israele” che si
riferisce alla colonna nuvolosa di giorno e quella di fuoco di notte che
durarono per tutti i quaranta anni che gli israeliti vissero nel deserto”.
Rashì (Francia, 1040-1104) spiega che
l’espressione “il forte braccio” si riferisce al fatto di aver ricevuto la Torà
nella forma di tavole di pietra nelle sue mani. Il super-commento Siftè Chakhamìm al commento di Rashì composto da R. Shabbetài Bass (Polonia, 1641-1718, Prussia) spiega che “Moshè
era così forte che fu capace di prendere in mano le tavole di pietra che erano
estremamente pesanti”. I maestri nel trattato Bavà Batrà (14a) del Talmud Babilonese insegnano che ciascuna
delle tavole era di dimensione di un braccio di altezza per mezzo braccio di
larghezza e mezzo braccio di lunghezza e messe insieme formavano un cubo di un
braccio di lato. Un braccio è circa 50 centimetri.
R. Mordekhai Hakohen (Safed, 1523-1598, Aleppo) in Siftè Kohen cita il Midràsh Devarìm Rabbà, 5:12) dove i
maestri dicono che quando Moshè vedendo il vitello d’oro gettò e ruppe le
tavole di pietra il Santo Benedetto lo lodò per averle rotte e gli disse “Chazàk”, come si dice a chi compie una mitzvà , come per esempio, a chi torna
al suo posto in sinagoga dopo essere stato chiamato alla lettura della
Torà. Questo lo si impara
dall’espressione “Yad Chazakà” (il
forte braccio). L’espressione “Tutte le grandi e straordinarie (lett.
spaventevoli] azioni” si riferisce al fatto che quando le tavole della legge si
ruppero, si “ruppero” anche i cuori degli israeliti ed entrò in essi il timore
dell’Eterno.
R. Shimshòn Nachmani (Modena, 1706-1778 , Reggio Emilia) commenta
che le parole “le azioni straordinarie che Moshè fece alla presenza d tutto
Israele” si riferiscono a quello che fece Moshè durante la battaglia contro
‘Amalèk descritta alla fine della parashà
di Beshalàkh (Shemòt, 17:8-16) . Mentre pregava con le
mani al cielo per la vittoria degli israeliti contro ‘Amalèk, Moshè rifiutò di
sedersi su dei cuscini e si sedette su una pietra, come è scritto: “E la
braccia di Moshè divennero pesanti ed essi presero una pietra, la posero sotto
di lui ed egli si sedette su di essa” .
E questo perché quando il popolo soffre, il leader deve anche lui
sentire la loro sofferenza.