di Donato Grosser
R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) scrive che la parola “mabùl” è un termine che significa “mapalà” (caduta) e distruzione, simile
al termine “nevalà” che significa
rovina (Bereshìt, 6:17). R. Raphael Pelcovitz (Canton-Ohio,
1921-2018, New York) che tradusse e annotò il commento di r. Sforno, spiega che
la parola “mabùl” non significa
quindi “diluvio”; denota ogni evento catastrofico che causa un improvviso
disastro di grandi dimensioni. In questo caso il mezzo usato per causare il
disastro fu l’acqua.
Verso la fine della parashà al versetto che dice “E Sem,
dopo aver avuto il figlio Arpachshàd visse per altri cinquecento anni e ebbe
altri figli e figlie” (Bereshìt,
11:11), r. Sforno spiega che nell’elencazione delle dieci generazioni tra Noach
(Noè) e Avraham, la Torà non menziona per nessuno dei personaggi citati che morirono,
come per le dieci generazioni tra Adam e Noach. Il motivo è che le generazioni
tra Adam e Noach morirono tutte prima del racconto del diluvio, mentre quelle
tra Noach e Avraham erano in vita quando iniziò il racconto della vita di
Avraham. R. Sforno spiega (ibid., 6:13 e 8:22) anche il motivo per cui dopo il
diluvio gli uomini non vissero più novecento anni come Matusalemme e altri
personaggi citati prima del diluvio. Egli scrive che il diluvio fu un evento
sconvolgente; dopo il diluvio il clima cambiò totalmente a causa dello
spostamento dell’asse terrestre che prima del diluvio era perfettamente verticale
e faceva sì che l’umanità vivesse in un clima di costante primavera. Dopo il
diluvio i prodotti della terra persero la qualità precedente e per questo fu
permesso agli esseri umani di consumare carne di animali, cose che non era loro
permessa da Adamo fino a Noach. R. Sforno nota anche (ibid., 6:9) che la storia
di Noach fu menzionata negli scritti di Berosus il caldeo (Babilonia, III
secolo a.EV). Giuseppe Flavio (Eretz
Israel, 37-ca. 100, Roma) cita un testo di Berosus dove è scritto: “Si dice che
ci siano ancora i resti dell’arca [di Noach] in Armenia sui monti dei Curdi; e
la gente va ad asportarne il bitume che usano come amuleto”. Lo stesso Flavio
(nelle Antichità Giudaiche, I:III:6). cita anche altri scrittori che
menzionarono il diluvio, come l’egiziano Hyeronimus, che scrisse le Antichità
Fenicie, e Nicolaus di Damasco (nel libro 96).
Sull’effetto
sconvolgente del diluvio vi è un midràsh
difficilmente comprensibile relativo al versetto “E avvenne che dopo sette
giorni e le acque del diluvio furono sulla terra” (ibid., 7:10). Nel trattato
talmudico Sanhedrin (108b) è scritto:
“Qual è il motivo per cui vengono citati questi sette giorni? […]. Perché
dopo questi sette giorni il Santo Benedetto invertì l’ordine della natura:
durante il diluvio il sole sorse a occidente e tramontò a oriente”.
R. Ghedalià Schorr (Galizia, 1910-1979, Brooklyn) che fu Rosh Yeshivà alla Yeshiva Torah Vodaas a Brooklyn, viene citato in
Or Gedalià, una raccolta postuma delle sue derashòt. Riguardo al versetto della Torà dove è scritto: “Ricorda
i tempi antichi, cerca di comprendere gli eventi degli anni delle generazioni
passate…” (Devarìm, 32:7), Rashì (Francia, 1040-1104) commenta:
“Ricorda cosa l’Eterno fece alla generazione di Enosh [nipote di Adamo], che
subì una inondazione del mare e alla generazione del diluvio che fu spazzata
dalle acque”. R. Schorr commenta che la Torà ci comanda di imparare da questi
eventi per rendersi conto di come il Creatore si comporta con le creature. Le
generazioni passate non impararono da quello che avvenne ai predecessori, noi
però lo possiamo fare evitando di seguire le loro orme; infatti nel Midràsh Sifrì (Haazinu, 7) è scritto che “non c’è generazione nella quale non ci
siano persone come quelle della generazione del diluvio”. E come nella
generazione del diluvio, Noach si salvò grazie all’arca, così in tutte le generazioni vi è un
arca nella quale salvarsi. Il Ba’al Shem
Tov (Polonia, ca. 1700-1760) insegnò che la Torà è un’arca. Occupandosi di
Torà si entra in un’arca che ci salva dal “mabùl”
[della società che ci circonda].