Sono sempre stato convinto che mantenere viva la memoria fosse il miglior antidoto per non ripetere gli errori del passato. Del resto la cultura del popolo ebraico affonda profondamente le sue radici nella memoria della sua storia millenaria.
Da più di dieci anni lavoro attivamente per mantenere viva la memoria dell’attentato del 9 ottobre 1982 alla Sinagoga di Roma nel quale morì mio fratello Stefano zl.
Nel mio libro “Il silenzio che urla”, ho cercato di descrivere gli eventi che portarono all’attentato alla Sinagoga di Roma con uno sguardo più distaccato possibile, nella speranza che il mio lavoro potesse contribuire ad ammonire le nuove generazioni affinché le manifestazioni di antisemitismo viste in Italia e in Europa nei mesi precedenti alla morte di mio fratello, non si verificassero mai più.
Ma devo confessare che in questi ultimi mesi ho avuto la sensazione che tutto questo non sia servito a molto. Mi sono reso conto che molte delle dimostrazioni di dissenso, pregiudizio e di odio antisemita descritti nel mio libro riguardo al 1982, si stiano ripetendo ormai da un anno in modo mille volte più violento e pericoloso, alimentato da una disinformazione sempre più diffusa sui social media.
Nel giugno del 1982, Israele invase il Libano per colpire le basi logistiche e militari dell’OLP, organizzazione terroristica che da quel Paese minacciava con attacchi di artiglieria gli abitanti del nord della Galilea. Si trattò di una guerra di deterrenza preventiva. In quelle pagine scrissi che proprio questo aspetto aveva scatenato tutti i detrattori di Israele, che si sentirono autorizzati a criminalizzare lo Stato ebraico, senza prendere in considerazione le ragioni di quest’ultimo né la complessità geopolitica di tutta l’area.
In Italia, le dimostrazioni di odio contro lo Stato di Israele e contro gli ebrei, furono tantissime. Pensiamo all’inquietante deposizione di una bara vuota lasciata davanti al Tempio Maggiore di Roma poco prima dell’attentato, ai tanti articoli comparsi sui giornali nei quali si chiedeva agli ebrei italiani di discolparsi per quello che stava accadendo, le vergognose vignette apparse sui più importanti giornali italiani che associavano gli ebrei ai nazisti e tante altre dimostrazioni di vera e propria ostilità non solo nei confronti di Israele ma contro tutto il Popolo ebraico.
Ma quindi, oggi che Israele si sta palesemente difendendo da attacchi continui da più parti, che cos’è che porta la società civile a manifestare in modo così estremo contro lo Stato ebraico e contro gli ebrei in generale?
Il 7 ottobre 2023 ha riacceso un incendio che è divampato immediatamente già poche ore dopo il terribile pogrom compiuto dai terroristi di Hamas.
Emblematico è stato ciò che è accaduto il 9 ottobre 2023. Erano passati solo due giorni dall’attacco. Per quel giorno era stata organizzata una giornata di riflessione e studio all’Università di Roma Tre alla presenza della mia famiglia, della Comunità Ebraica di Roma, del Rettore, dei docenti e soprattutto degli studenti di Scienze della formazione (i futuri insegnanti del nostro Paese). Era stata prevista e confermata la presenza di circa duecento persone e doveva essere proiettato il Documentario “Era un giorno di festa”, prodotto dall’Associazione 9 Ottobre 1982 per far conoscere agli studenti la storia dell’attentato e soprattutto per poter discutere con loro su come poter tramandare la memoria di quel tragico evento alle generazioni future. Evidentemente non c’era interesse a confrontarsi sulla storia e su quello che stava accadendo perché quel giorno non si presentò nessuno. Non venne il Rettore, nessun docente e neanche uno studente.
Fu l’inizio di quello che avremmo visto nei mesi successivi, con le università occupate, con il boicottaggio della collaborazione delle università italiane con quelle israeliane, con il divieto di accesso a chiunque volesse provare ad esprimere un’idea diversa.
La macchina della propaganda propal, coadiuvata dalla tecnologia, dai social media e dall’ignoranza di tanta gente, ha rimesso velocemente in moto tutte le vecchie forme di antisionismo e antisemitismo gettando questa volta definitivamente la maschera della “difesa del popolo palestinese” per mostrare al mondo la sua vera faccia. Quella dell’odio e dell’intolleranza non solo verso lo Stato di Israele, ma verso tutto il popolo ebraico.
Non voglio dilungarmi in questa sede ad elencare tutte le dimostrazioni di odio antisemita a cui abbiamo dovuto assistere in questi lunghi mesi, ma ce ne sono due che vale la pena di menzionare.
La prima: in tutte le manifestazioni svolte in questi mesi abbiamo sentito folle di migliaia di persone gridare “From the river to the sea, Palestine will be free”, uno slogan forse apparentemente banale però con un significato molto eloquente, che ha origini lontane e che dal 7 ottobre è stato ripetuto come un mantra nelle piazze, nelle università, sui social ed è diventata addirittura oggetto di merchandising come la kefiah negli anni ’80.
Questa frase, parte integrante dello statuto di Hamas, ripetuta dai ragazzini e non solo nelle piazze è la definitiva caduta di qualunque maschera. La caduta dell’ultima foglia di fico.
Da un’inchiesta fatta tra gli studenti dei college statunitensi si evince che l’86% sostiene i palestinesi, ma che solo il 46% di loro sa che quello slogan si riferisce al fiume Giordano e al Mar Mediterraneo (auspicando così la distruzione ed eliminazione dello Stato di Israele). Alcuni hanno risposto cose impensabili, i fiumi nominati sono l’Eufrate, il Nilo. Il mare sarebbe, per loro, l’Oceano Atlantico, per qualcuno addirittura il Mar dei Caraibi. Quindi questi energumeni urlano slogan di cui ignorano il significato pur di esprimere il loro odio contro Israele che, a questo punto, posso pensare, non sappiano nemmeno dove sia ubicato.
Poi c’è l’accusa di “genocidio” rivolta allo Stato ebraico nei confronti del popolo palestinese.
Un’accusa infamante e priva di fondamento che veniva rivolta allo Stato di Israele già nel 1982 durante la guerra in Libano accumunando così lo Stato ebraico alla Germania nazista. Un’associazione malata, ma che sicuramente consente alla coscienza europea di liberarsi del fardello della Shoah. Se infatti la vittima si comporta come il carnefice, allora non c’è più bisogno di compatirla e al tempo stesso è possibile lasciarsi alle spalle il proprio crimine nei suoi confronti.
Oggi come nel 1982, la propaganda si serve dell’ignoranza e dell’odio della gente per aizzare le folle e perseguire il suo obiettivo di distruzione e morte.
Ancora oggi abbiamo perso l’occasione di imparare dal passato.
Ma se è vero, come disse Primo Levi, che “coloro che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo”, abbiamo il dovere di continuare a lavorare non solo sulla memoria, ma anche sulla cultura e sul confronto, adeguandoci necessariamente alle nuove forme di condivisione e divulgazione dell’informazione.
A che serve la memoria?
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