Il disastro afgano continua ad ingrandirsi e preoccupa sempre di più. Non si tratta solo della ritirata disordinata, una vera e propria fuga, delle truppe americane, che ha lasciato indietro miliardi di dollari di armi, decine di migliaia di afgani che si erano impegnati per la democrazia e la libertà, e anche molte centinaia di cittadini americani che sono ormai in sostanza ostaggi. E neppure della probabile ondata di emulazioni terrorista che la clamorosa vittoria dei talebani produrrà in tutto il mondo. E’ proprio la situazione dell’Afghanistan in sé a preoccupare di più. A parte la separazione obbligatoria dei generi, immediatamente ordinata, che ha portato alla reclusione delle donne, a pena delle frustate inferte seduta stante a quelle che si rifiutano di stare in casa, com’è possibile vedere in tanti video diffusi sulla rete, e la repressione di ogni dissenso rispetto al potere dei talebani e all’obbligo di conformarsi ai costumi islamici più retrivi, quel che fa più paura è il regime, ilsistema di potere che alcuni illusi avevano descritto come “distensivo”.
Martedì i talebani hanno annunciato un governo ad interim tutto maschile, composto da veterani del loro dominio totalitario degli anni ’90 e della battaglia ventennale contro la coalizione guidata dagli Stati Uniti, quasi tutti appartenenti al gruppo etnico maggioritario pashtun. Nessuna traccia dunque dell’”inclusività” richiesta e magari immaginata dai sostenitori della linea morbida. Anzi. Il primo ministro ad interim, il mullah Hasan Akhund, aveva già guidato il governo talebano a Kabul durante gli ultimi anni del loro potere prima dell’intervento americano. Il mullah Abdul Ghani Baradar, che aveva condotto i colloqui con gli Stati Uniti e firmato l’accordo che ha portato al ritiro, sarà uno dei due vice di Akhund. Al posto chiave di Ministro degli Interni è stato nominato Sirajuddin Haqqani, che è nella lista dei più ricercati dell’FBI con una taglia di 5 milioni di dollari sulla testa; si ritiene che tenga ancora in ostaggio almeno un americano. La rete Haqqani, che domina la maggior parte dell’Afghanistan orientale, è stata infatti accusata di sanguinosi attacchi a Kabul negli ultimi due decenni e di aver orchestrato molti rapimenti, spesso di americani. Washington crede che tenga ancora prigioniero Mark Frerichs, un contractor civile, che è stato rapito nel gennaio 2020 e da allora non ha più dato notizie. Oltre ad Haqqani come capo della polizia, l’altro posto di vertice della sicurezza cioè il Ministero della Difesa è andato al mullah Mohammad Yaqoob, figlio del fondatore dei talebani, il mullah Mohammad Omar. Il nuovo ministro degli Esteri sarà Amir Khan Muttaqi, altra figura di spicco dell’ultima volta dei talebani al potere.
Insomma, la composizione del governo rende del tutto utopistica l’idea di “aspettarsi che i talebani rispettino i loro impegni pubblici in materia di inclusività, passaggio sicuro, diritti umani e lotta al terrorismo”, come ha scritto ancora giovedì in un tweet il segretario di stato americano Antony Blinken. Tant’è vero che il primo gesto successivo all’annuncio del nuovo governo è stata la dispersione a raffiche di mitragliatrice in aria di una coraggiosa manifestazione di protesta tenuta a Kabul, seguita dal pestaggio dei giornalisti che avevano osato assistervi.
È chiaro che i talebani intendono rinnovare il loro ruolo passato di oppressori del loro stesso popolo e di centro del terrorismo internazionale. Una missione di guerra all’Occidente e alla libertà che è chiaramente rivendicata e li rende pericolosissimi. Oggi esiste solo forse un altro posto più pericoloso per la pace nel mondo, ed è l’Iran dove il ministro della difesa e quello della giustizia sono ricercati per la strage terrorista del centro ebraico di Buenos Aires, che fece 81 vittima.