Per un giorno, lunedì 16 luglio, gli occhi del mondo si sono rivolti a Helsinki, dove è andato in scena uno storico vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin. Stati Uniti e Russia hanno teso la mano l’uno nei confronti dell’altro, annunciando con toni trionfalistici la fine della guerra fredda. Trump ha anche riconosciuto l’estraneità della Russia alle interferenze nella campagna elettorale americana, smentendo di fatto il Russiagate; ha però così provocato profondi malumori in patria, dove al suo ritorno è stato accolto tra le polemiche, in quanto gli è stato rimproverato di aver sconfessato l’operato dell’intelligence del suo Paese.
Nei colloqui tra i due presidenti si è parlato di Corea del Nord e di disarmo nucleare, con un consenso reciproco per mantenere in vita gli accordi sulla non proliferazione. Nessuna intesa sulle crisi regionali di Crimea, Ucraina e Georgia. Trump ha infatti mostrato poco interesse per quest’area, così come non intende impegnarsi eccessivamente in Medio Oriente. Proprio su quest’ultimo, è emersa una linea comune su Israele e un sostanziale accordo sulla Siria, mentre permane una divergenza sull’Iran.
Il sostegno a Netanyahu e a Israele in generale è un punto in comune, come rilevato anche in un’intervista al Corriere della Sera da Dominique Moisi, cofondatore dell’Istituto Francese per le Relazioni Internazionali. Inoltre, Putin “ha detto di concordare sulla necessità di proteggere Israele sulle alture del Golan. – ha scritto La Stampa – Questo sembra indicare che gli USA sono disposti a concedere la vittoria ad Assad e Mosca, a patto che tengano le forze iraniane lontane dai confini settentrionali dello Stato ebraico”. Ciò non implica però necessariamente un completo ritiro dell’Iran dalla Siria. Proprio sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Teheran le posizioni restano lontane. Per Putin, infatti, l’accordo che Trump ha abbandonato permette di sottoporre Teheran a controlli senza precedenti, impedendogli dunque di sviluppare armi atomiche.
Ciò che traspare è il poco interesse di Trump per la regione, mentre si consolida la posizione di Putin. Dall’intervento militare del settembre 2015 in Siria, la Russia è infatti diventata uno degli attori più importanti in Medio Oriente: l’operazione militare è riuscita, ha cambiato l’esito della guerra a favore del suo alleato Assad e attorno a questa operazione militare Putin ha creato una rete di alleanze anche tra paesi in conflitto tra loro. È diventato interlocutore della Turchia, alleato dell’Iran e ha rapporti strategici importanti anche con Israele ed Egitto.
Il Vertice di Helsinki ha dunque sicuramente affermato la superiorità dei due leader sugli altri attori internazionali; un successo, secondo molti osservatori, soprattutto per la Russia. Bisogna capire ora come si muoverà Putin in questo delicato equilibrio, soprattutto per quanto riguarda il contesto mediorientale: potrà capitalizzare al meglio la posizione di forza acquisita a livello globale o finire preda degli interessi dei suoi alleati. L’intreccio di alleanze espone Putin a molti rischi strategici, ma gli dà anche delle opportunità di grande rilievo.
DANIELE TOSCANO