Una conferenza sul futuro
Si è appena conclusa a Basilea la celebrazione dell’anniversario del primo congresso sionista, tenuto nella città svizzera 125 anni fa, per iniziativa di Theodor Herzl. Vi hanno partecipato molti dei più importanti dirigenti ebrei di tutto il mondo, a partire dal presidente israeliano Yitzhak Herzog, ricordando le realizzazioni di questo periodo e cercando una riflessione comune sul futuro del popolo ebraico, in particolare sui rapporti fra ebraismo della Diaspora e Israele, che ormai è largamente predominante sul piano culturale, politico e spirituale, ma che certo non rappresenta ancora la totalità degli ebrei. Riuscire a far crescere la collaborazione fra Israele e l’ebraismo del resto del mondo, in particolare degli Usa, è forse la sfida più importante per l’ebraismo, a parte le urgenze politico-militari, come il pericolo imminente che viene oggi dall’Iran.
Che cosa non si festeggia
È naturalmente giusto festeggiare il congresso di Basilea e Theodor Herzl, che sono all’origine di Israele e delle realizzazioni contemporanee del popolo ebraico. Vale la pena però di capire esattamente che cosa si deve celebrare. Herzl non ha certo inventato il sionismo, se con questo si intende la spinta del popolo ebraico al ritorno alla propria terra ancestrale e alla realizzazione dell’indipendenza statale. Tutta la liturgia ebraica è da sempre costellata di invocazioni alla restaurazione di Gerusalemme e del regno di David; le guide spirituali del popolo ebraico, dai profeti ai maestri della Mishnà ai grandi autori come Maimonide o Yehuda Halevi, hanno sempre considerato un dovere il ritorno dalla Diaspora; prima di Basilea c’era già un movimento consistente di immigrazione in Israele, che fosse quella religiosa del movimento Hovevei Zion o quella laica di persone come Ben Yehud, il restauratore della moderna lingua ebraica. Herzl non ha neanche inventato la parola “sionismo”, che era stata coniata qualche anno prima dall’austriaco Nathan Birnbaum, che usò il termine nel 1890 nella sua rivista Selbst Emanzipation! (Auto-emancipazione).
E che cosa si festeggia invece
Quel che Herzl fece invece e che trionfò a Basilea fu il trasferimento (o meglio la restituzione) della questione della Terra di Israele dall’ideale religioso, dal rimpianto sentimentale, dal desiderio personale, alla dimensione politica – il che significa portarlo sul piano della conquista del consenso interno al popolo ebraico, dell’organizzazione pratica, e poi del tentativo di trovare comprensione e alleanze nella politica internazionale. Se è vero (forse solo in parte vero), come ha sostenuto Hannah Arendt, che nei lunghi secoli della diaspora il popolo ebraico era rimasto esterno alle dinamiche politiche, tanto da accettare in cambio dell’emancipazione una riduzione della sua identità a sola religione, rinunciando esplicitamente in certi casi (per esempio negli ambienti riformati tedeschi e americani) alla dimensione di popolo, Herzl fu capace di invertire questa tendenza, di riportare il popolo ebraico nel suo complesso a comportarsi da soggetto storico, riuscendo ad agire da subito sul piano della politica internazionale, all’inizio senza ottenere quel che chiedeva. Ma questa trasformazione già solo vent’anni dopo Basilea (e dodici dopo la sua morte) fu riconosciuta dalla Dichiarazione Balfour, e dopo altri trenta portò alla proclamazione dello Stato di Israele.
La fatica di Herzl
Il lavoro di Herzl, arrivato al momento giusto della storia, fu anche un’impresa immane, al limite delle forze di un uomo. Raramente nella storia vi è stato un singolo individuo che coi mezzi della convinzione, dell’organizzazione, della diffusione delle idee, del negoziato, abbia compiuto una trasformazione simile nella vita di un popolo. Se partiamo dal 1894, cioè dall’inizio del Caso Dreyfus, che secondo i biografi fu la scintilla che trasformò un brillante giornalista piuttosto assimilato nell’apostolo della redenzione ebraica, in soli tre anni Herzl riuscì a convocare il primo momento di organizzazione unitaria del popolo ebraico dall’inizio della diaspora (questo fu il Primo Congresso di Basilea). Negli altri sette anni di vita che gli rimasero fino a essere stroncato da questo immenso lavoro, Herzl viaggiò ininterrottamente incontrando gli ebrei di tutta Europa, cercando di negoziare con la Gran Bretagna, col Papa, con il Sultano ottomano, recandosi a Gerusalemme, vincendo l’opposizione di buona parte del mondo religioso, dei socialisti internazionalisti del Bund, dei “sionisti culturali” che volevano attendere che crescesse la coscienza ebraica popolare prima di occuparsi dell’immigrazione in Israele e della politica che la consentisse. Fece anche alcune battaglie sbagliate, come quella per accettare come meta dell’emigrazione ebraica dall’Europa un territorio in Uganda offertogli dalla Gran Bretagna. Ma anche in questo era un precursore, perché forse presentiva al di là dei dati disponibili l’imminenza di quella grande aggressione antiebraica che sarebbe stata la Shoah. La sua capacità visionaria si verifica anche leggendo i suoi libri, non solo “Lo stato ebraico” (1896) che lancia il programma politico sionista, ma anche Altneuland (“L’Antica Nuova Terra”, 1902), in cui si immagina un’Israele multiculturale, laica, tecnologica, aperta al turismo come è oggi.
Le conseguenze del Congresso
Insomma, Basilea 1897 significò il ritorno del popolo ebraico nella comunità internazionale, la presa di coscienza degli ebrei di non poter più vivere in una dimensione privata e locale, ma di dover fare grandi scelte collettive, prendendo in mano il proprio destino comune, di non avere una via di fuga dalle persecuzioni nell’assimilazione, ma di dover riaffermare la propria identità politica, lavorando per la costruzione di uno stato moderno. Perché questo programma si realizzasse ci fu bisogno di altri grandi personaggi, prima di tutto di David Ben Gurion, di una generazione sola più giovane di Herzl. E purtroppo l’autoemancipazione del popolo ebraico arrivò troppo tardi per impedire la Shoah. Ma il sionismo senza dubbio ne moderò gli effetti distruttivi. Di questo saremo sempre grati a Herzl e a chi accettò la sua intuizione a Basilea 125 anni fa.