Addio a Eva Mozes Kor, uno dei testimoni-simbolo della Shoah, bambina sopravvissuta ad Auschwitz e ai mostruosi esperimenti del dottor Josef Mengele a cui fu sottoposta insieme alla sorella gemella. E proprio nel lager dell’infamia nazista, come ha raccontato in un libro, ha “imparato a perdonare” i suoi carnefici. E’ morta ieri, all’età di 85 anni, per cause naturali, mentre si trovava a Cracovia, in Polonia, per il viaggio annuale educativo con un gruppo di giovani proprio nell’ex lager di Auschwitz. E’ stata trovata priva di vita al mattino nella sua stanza di albergo, come hanno riferito fonti della sua associazione Candles. Con lei c’era il figlio Alex Kor. Eva Mozes Kor, ebrea nata il 31 gennaio 1934 a Portz, allora in Ungheria e oggi in Romania, ha perso i genitori e due sorelle ad Auschwitz. Insieme alla gemella Miriam è stata sottoposta agli efferati esperimenti genetici del medico nazista Josef Mengele ed è sopravvissuta al campo di sterminio. Dopo la fine della seconda guerra mondiale si recò in Israele e dagli anni ’50 si era trasferita negli Usa e a Terre Haute, nell’Indiana, aveva creato l’associazione Candles (Children of Auschwitz Nazi Deadly Lab Experiments Survivors), un museo dell’Olocausto e un centro educativo.
Da trent’anni viaggiava in tutto il mondo come testimone dei crimini nazisti, insegnando l’importanza del perdono per superare i traumi personali e storici. Nel 2009, il suo libro per bambini “Surviving the Angel of Death” è stato un bestseller internazionale. Alla sua storia è dedicato un documentario diffuso in Italia con il titolo “La donna che ha perdonato i nazisti”. Un nuovo documentario, “Eva A-7063” di Ted Green e Mika Brown, è uscito nel 2018. Il suo libro di memorie dal titolo “Ad Auschwitz ho imparato il perdono. Una storia di liberazione” in italiano è stato pubblicato dall’editore Sperling e Kupfer.
Auschwitz, maggio 1944: sulla lunga banchina affiancata alle porte dei forni crematori, affollata di migliaia di ebrei appena arrivati dall’Ungheria, un militare osserva due bambine vestite di un identico abitino rosso, strette alle mani della madre. “Sono gemelle?”, chiede. Avuta la risposta affermativa, le trascina via. Eva si salva così dalla camera a gas, destinata, con Miriam, a diventare una cavia umana nel laboratorio dove Josef Mengele compie i suoi esperimenti genetici. Ha dieci anni e molta paura. Per sei mesi, insieme ad altre coppie di gemelli, subisce test, trasfusioni, iniezioni di virus e medicinali. Vede i suoi compagni morire a seguito di operazioni e amputazioni. Ma Eva è determinata a tornare a casa e riesce, insieme alla sorella, a sopravvivere fino all’arrivo degli Alleati.
A sedici anni è in Israele, a ventisei negli Stati Uniti: gli incubi notturni sono scomparsi, ma non l’odio per gli aguzzini, la costante sensazione di essere indifesa e impotente, la sofferenza causata dai ricordi, che vengono sepolti in un angolo della memoria. Finché l’incontro con un ex nazista fa riemergere il dolore, ma mostra a Eva una nuova strada, il perdono, che libera dal peso del passato non i carnefici, come si crede, ma le vittime, rendendo loro il potere sulla propria vita. L’odio la incatenava agli abusi subiti, il perdono le permette di andare avanti, senza dimenticare quel che è stato. Di guardare quella bambina fotografata dietro il filo spinato del campo di sterminio senza essere sopraffatta dall’angoscia. Di ottenere che due criminali ammettano pubblicamente le proprie colpe. (Pam/AdnKronos) (di Paolo Martini)