C’è un giovane viaggiatore che si avventura nelle
terre di Israele e Palestina e ci sono gli ulivi, che lo accompagnano lungo il
tragitto. Quelli di cui parla Francesco Migliaccio in “Primavera breve. Viaggio
tra i labili confini” sono gli ulivi tra il Mediterraneo e la valle del
Giordano, gli stessi da cui si ricava olio biologico da vendere a diverse
persone. Il libro è un reportage epistolare che racconta di giorno in giorno
riflessioni, immagini e aneddoti dell’autore che vive con una famiglia ebraica
di Zippori, città che sorge accanto all’araba Nazareth. Lì fa molte esperienze
e scopre che una volta sorgeva un villaggio arabo ormai dimenticato. Con la famiglia
trascorre nel Negev i primi giorni di Pesach, rimanendone affascinato: “Ancora
una volta non riesco a distinguere un confine netto tra la religione, il
retaggio culturale e i riti che tendono unito il gruppo familiare” (…) sento
che noi siamo molto deboli con il nostro alberello addobbato una volta
all’anno, (…) qui invece intravedo una foresta di pratiche che puoi rinnovare,
enciclopedie di rituali da variare di volta in volta.” Il viaggio prosegue
verso sud tra Gerusalemme e Ramallah e continua nella Palestina interna dove
Francesco incontra coloni che coltivano olive e datteri biologici. Questo
libro, nella sua onestà, è l’epitome del viaggiatore che torna a casa con tanti
dubbi, molte domande e poche risposte. È un racconto sui confini mobili e sulle
identità culturali, nazionali e sociali che di definito hanno poco e che, in
comune con l’identità del vicino, hanno tanto.